[didascalia fornitore=”altro”]Bambini travestivi da personaggi di Gomorra[/didascalia]
Niente più Zorro, Spider-man o Batman per Carnevale, ma Genny Savastano, Scianel e, perché no, anche qualche vero e proprio Toto Riina. È questo quello che resta, oggi martedì grasso e ultimo giorno di carnevale, dei travestimenti più bizzarri e in voga fra i bambini, soprattutto di Napoli. Ovviamente subito si è scatenata la polemica su quali siano le ragioni, sociali e culturali, del diffondersi di travestimenti che richiamino personaggi della criminalità organizzata. Ma il vero problema è quale possano essere le conseguenze educative di tali travestimenti. Convinto che non siano di certo i figli dei boss ad aver indossato quei costumi, ho deciso di parlarne con Stefano Rossi, psicologo e psicoterapeuta.
«Non è il travestimento in sé – spiega il dottor Stefano Rossi – che può essere una marcatura per una vita di delinquenza, ma il fatto di stare in una famiglia che avalla un certo tipo di travestimenti fa capire che si tratta di una famiglia che tollera, e forse strizza perfino l’occhio, a determinati personaggi che vengono, così, “normalizzati”».
«Con quel tipo di costume, – chiarisce ulteriormente Stefano Rossi – il genitore fa capire al bambino che quello è un personaggio che può interpretare, in quanto è da loro approvato».
[didascalia fornitore=”altro”]Bambino travestito da Sangue Blu di Gomorra III[/didascalia]
Tuttavia ci sono da sempre costumi di carnevale o, più in generale, giochi che coinvolgono personaggi che potremmo definire “negativi”. «Ci sono anche travestimenti da vampiri, licantropi e quant’altro, ma quelli sono personaggi di fantasia. Questi invece sono personaggi reali o comunque ispirati a ruoli realmente esistenti. Più che il travestimento in sé, mi fa quindi pensare che questi bambini siano inseriti in un contesto dove questi personaggi sono incentivati».
Se, in questo modo, si inaugura sicuramente un percorso di normalizzazione nei confronti del bambino di personaggi negativi, come sostiene il dottor Rossi, più difficile è stabilire quanto gli stessi genitori siano anch’essi vittime di un percorso di normalizzazione che passa attraverso la narrazione delle criminalità organizzata delle serie tv e della cinematografia.
[didascalia fornitore=”altro”]Bambino travestito da Genny Savastano[/didascalia]
«Sicuramente in questo periodo – riflette Stefano Rossi, psicologo e psicoterapeuta – c’è una spettacolarizzazione dell’evento criminale, che può portare a una normalizzazione del delinquente. Il punto è che si possono ovviamente far vedere ai bambini contenuti in cui si parla del crimine: i ladri ci sono in tutti i cartoni animati, ma vengono sempre stigmatizzati come il cattivo e magari descritti come pasticcioni e imbranati, che vengono continuamente sconfitti».
Insomma va bene far vedere i cattivi ai bambini purché vengano descritti con caratteristiche che a loro stessi non piacciono. E, quindi, quell’esperienza può diventare addirittura educativa.
Quale, invece, possa essere l’insegnamento che un bambino trae nell’essere travestito per carnevale da Sangue Blu o addiritura da Toto Riina è decisamente più difficile stabilirlo e, di sicuro, deve preoccupare in un momento in cui dilagano le paranze dei bambini, pronte a reclutare ragazzi che si mettono in mostra nella baby-gang.
«Non si può sapere se un travestimento da vero o finto boss possa portare quel bambino un domani ad entrare a far parte di una bay gang o, ancora peggio, di un clan, ma è probabile che quando un ragazzo inizierà ad avere atteggiamenti paracriminali, a frequentare certe compagnie e ad atteggiarsi in un determinato modo, queste famiglie che tollerano il travestimento da boss possano non intervenire, considerandola una cosa normale», conclude lo psicologo e psicoterapeuta Stafano Rossi.
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