Il Covid prolifera soprattutto nelle scuole. E da queste poi passa all’esterno. Questo è il risultato di uno studio italiano condotto da un team di ricercatori, coordinato dall’epidemiologo Stefano Merler, direttore del Centro per le emergenze sanitarie della Fondazione Bruno Kessler di Trento.
I contagi da Covid stanno aumentando di nuovo. Perché? Secondo alcuni studiosi, la “colpa” è soprattutto delle scuole. Sono soprattutto i bambini e gli adolescenti, infatti, a contagiarsi e contagiare gli altri.
Covid: quanto sono pericolose le scuole per l’aumento dei contagi?
C’è un nesso reale tra la riapertura delle scuole e l’andamento dei contagi da Covid? Probabilmente sì. Almeno è quello che dimostra uno studio condotto da un team di ricercatori italiani, coordinato dall’epidemiologo Stefano Merler, direttore del Centro per le emergenze sanitarie della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Il problema di fondo è uno: la guardia abbassata. Non ci sono più mascherine obbligatorie, misurazione della temperatura all’ingresso e tutte le norme che inizialmente, nella prima fase del ritorno a scuola post pandemia, erano diventate ormai prassi.
Oggi è tornato tutto “normale”, ma normalità e sicurezza a volte non vanno di pari passo. Questo è un caso, ad esempio. Secondo i ricercatori la scuola è il luogo in cui è più facile che il virus propaghi. Perché? Perché ragazzi, professori – ma anche il personale ATA – restano chiusi ogni giorno per circa 5-6 ore dentro quattro mura a stretto contatto. Spesso, infatti, le aule non sono abbastanza grandi, cosa che rende praticamente impossibile che ci sia una giusta distanza tra i banchi oppure tra questi e la cattedra.
Il team, nello specifico, per analizzare al meglio i dati che avevano, hanno preso in esame un focolaio che si era manifestato nei primi mesi dello scorso anno a Mede, in provincia di Pavia. In quel periodo, la variante più diffusa in tutto il Paese era l’Alpha, ma c’è da aggiungere che all’epoca in pochissimi erano vaccinati. Erano quelli i mesi in cui si iniziava a vaccinare il personale sanitario, poi toccò ai professori fare la prima dose (all’epoca c’era ancora AstraZeneca, che faceva sì che tra la prima e la seconda dose trascorressero circa tre mesi), ma comunque non tutti all’inizio vollero aderire alla campagna.
Così all’epoca per tenere sotto controllo la scuola, i medici del dipartimento di prevenzione della locale Ats optarono per uno screening. Cosa uscì? Che vi erano ben 460 positivi, cosa che rendeva la scuola praticamente un focolaio.
Per comprendere meglio, bisogna tenere conto del fatto che all’epoca c’era l’obbligo di rispettare la distanza di un metro tra i banchi e di tenere la mascherina durante le lezioni, ma questo non bastò comunque ad arginare i contagi.
Detto ciò, oggi gli studiosi si sono soffermati su quel caso, ma non solo.
I dati
La cosa che però sorprende (ma non troppo) è che nella ricerca delle più frequente catena di contagi, un caso su due fosse rappresentato dall’ambiente domestico, ma il 21% derivasse dalla scuola. Il restante 29% poi riguarda altri contesti vari.
Parlando per fasce di età, c’è da dire che il 46,2% dei bambini e degli adolescenti positivi hanno a loro volta contagiato altre persone. Questo supera di gran lunga la percentuale di persone adulte che invece hanno dato il via a catene di trasmissione, che si attesta intorno al 25%. E c’è di più: il numero di infezioni che partono da ogni studente è 10,3 a fronte dello 0,35 della popolazione in generale.
Come ha affermato lo stesso coordinatore dello studio: “Questi risultati mostrano che il potenziale di trasmissione nelle scuole può essere particolarmente elevato e che le scuole possono agire da amplificatore della trasmissione: anche in presenza di misure atte a ridurre la circolazione di Sars-CoV-2, come quelle che erano attive nel periodo in cui è stato condotto lo studio”.
Detto ciò, c’è un problema serissimo: arginare i contagi nelle scuole è davvero complicato. C’è da dire però che queste sono frequentate da persone – adolescenti soprattutto – che hanno un grado di socialità molto alto, ma che al contempo sviluppano pochi sintomi. Spesso, infatti, i giovani sono asintomatici e proprio questo rende difficile tracciare i contagi e chiudere tempestivamente la classe per poter sanificare l’ambiente e rilevare eventuali altri positivi.
Di recente poi stiamo assistendo ad un ulteriore aumento dei contagi, cosa che secondo gli studiosi non è affatto un caso. Come ha affermato Merler, infatti: “L’ondata di questi giorni è determinata in buona parte dalla riapertura delle scuole, come testimoniato dal rilevante aumento di incidenza osservato tra coloro che le frequentano. La grande ondata estiva di Omicron 5 si era spenta spontaneamente per mancanza di contatti da infettare. Il ritorno tra i banchi, con tutti i contatti sociali tra bambini e ragazzi ripristinati dopo le vacanze, ha probabilmente ridato spazio al virus”.
Ma non finisce qui, perché gli esperti temono che l’avvento dell’autunno possa far aumentare ulteriormente i contagi: si pensa infatti che alcune sottovarianti di Omicron possano diffondersi maggiormente rispetto alle altre. Al contempo, però, si stanno verificando già molti casi di influenza, indi per cui in sostanza si parla della cosiddetta “twindemic”, cioè della crescita parallela dei contagi delle due infezioni.
Cosa fare quindi? Secondo Merler questa ondata, come le precedenti, terminerà quando non ci saranno più contatti utili che facciano sì che il virus possa passare da un individuo all’altro. Il dato rassicurante è che la popolazione oggi, grazie soprattutto ai vaccini, è comunque protetta. Ecco perché lo studioso consiglia comunque di procedere con la quarta dose.