Visti gli imprevisti tecnici (o la strategia) del Cremlino nel rispettare la quota giornaliera di approvvigionamenti di gas, Eni e Qatar siglano un accordo di collaborazione per aumentare gli scambi di idrocarburi con Roma.
La decisione tra l’azienda guidata da Claudio Descalzi e Doha è giunta nella giornata di ieri, 19 giugno, e aggiunge una lastra sul percorso di diversificazione dalle riserve in mano a Mosca.
Eni e il gas di Doha
L’intesa tra la compagnia energetica italiana e la propaggine orientale della penisola arabica segna un importante passo per l’economia degli idrocarburi del Bel Paese.
Il Qatar possiede buona parte (una porzione è in mano all’Iran) del North Field, il giacimento di idrocarburi più grande al mondo secondo le stime. Rinvenuto nel 1971 nelle acque del Golfo Persico tra Doha e la Repubblica Islamica ed entrato in attività vent’anni dopo, il pozzo offshore è gestito dalla compagnia nazionale Qatar Petroleum.
Quest’ultima ha deciso appunto ieri di offrire ad Eni l’accesso al sito estrattivo, fornendo allo stato italiano una collaborazione che faceva gola a molti.
All’origine della scelta vi è la strategia qatariota di aumento esponenziale del proprio peso internazionale quale esportatore d’energia: il gruppo di Descalzi è chiamato ad aiutare nel portare le attuali 77 milioni di tonnellate l’anno a 110, la stessa Doha vorrebbe poi, attraverso altre strutture ed alleanze, giungere a 126 Mtpa entro il 2027.
Data la collocazione del sito, quello che il Qatar commercerebbe in Italia tramite Eni è Gas Naturale Liquefatto (GNL), portato sulle coste della Penisola con navi-gassiera.
GNL, bene ma non benissimo
Se l’accordo in sé è un’ottima notizia, il tipo di prodotto ottenuto non del tutto. Il Gas Naturale Liquefatto richiede impianti e processi di trasformazione che l’Italia non possiede, o ne ha in minima parte.
Infatti, per ridurre i volumi della merce in oggetto e soprattutto facilitarne il trasporto, l’idrocarburo da aeriforme viene convertito alla forma liquida, caricato su grandi petroliere (che data la natura del carico sono più propriamente chiamate gassiere) e inviato nei luoghi di destinazione. Qui, attraverso specifici impianti marittimi o costieri viene nuovamente rigassificato per essere poi ramificato sul territorio tramite tubo.
Inevitabile che i vari passaggi facciano lievitare il prezzo della materia prima, tuttavia, com’è ormai ben noto, a motivo della diversificazione italiana vi è una causa etica e di sicurezza, non certo economica.
Eppure la complicazione principale non è tanto, o solo, il costo: l’Italia presenta ben pochi impianti per rigassificare il GNL.
Per ora ne sono attivi tre: a Portovenere (Liguria), a Porto Viro (Veneto) e a Livorno (Toscana). Altri due sono stati approvati, Gioia Tauro (Calabria) e Capobianco (Puglia), e altri ancora sono in progetto.
È tuttavia essenziale che Roma aumenti tali siti se il GNL vuole divenire un asset strutturale dell’economia energetica del paese.