A rammentare l’importanza della demografia sulle dinamiche di crescita e mercato del lavoro è lo studioso Alessandro Rosina che enuclea la complessità e multifattorialità insita nella ripresa economica tentata dallo Stivale.
Spesso si tengono in considerazione i salari troppo bassi o i sussidi governativi oppure i percorsi formativi scadenti e poco in linea con le necessità del mercato del lavoro. Tuttavia uno dei principali problemi dell’occupazione in Italia risiede nella sua demografia declinante.
Alcuni dati su demografia e lavoro
“Degiovanimento”: è questo il termine utilizzato dagli esperti di demografia per indicare la progressiva riduzione e perdita di consistenza (primariamente numerica ma a cascata anche politica ed economica) della fascia di età più giovane della popolazione di uno stato. L’Italia ne è, purtroppo, un fulgido esempio.
La forza lavoro, ossia occupati e chi fa ricerca attiva di un impiego, tra i 15 ed i 34 anni è paurosamente scesa nel Bel Paese: se vent’anni fa, nel 2002, era composta da circa 9,4 milioni di giovani, oggi è decurtata di un terzo, fermandosi a 6 milioni.
D’altronde gli stessi numeri assoluti di quell’area di cittadini è diminuita di 260 mila unità, per un totale di 12 milioni di neo-adulti.
Tutto ciò significa che nel giro di un trentennio la popolazione in età attiva scenderà ulteriormente di circa il 30%, con delle ricadute inevitabili e pesanti su pensioni e sistema di welfare nazionale. Ciò pone Roma al non invidiabile primo posto in Europa in questa classifica che raffronta forza lavoro disponibile e totalità della cittadinanza. In confronto la Francia avrà un -10% e la Germania una deflazione del 15%.
L’Italia al bivio
La contrazione della componente giovane della società rischia di accelerare la flessione economica e culturale del Paese seguendo un trend che nemmeno l’immigrazione sarebbe in grado di arrestare. Quest’ultima inoltre richiederebbe una visione politica strutturale e di lungo periodo, fondata su di una nazione in grado di attrarre stranieri qualificati e di offrire loro vere politiche di integrazione indispensabili all’ottenimento del pieno valore sociale di soggetti vissuti altrove.
Secondo Rosina si è di fronte ad un bivio in grado di scatenare una serie di conseguenze potenzialmente inarrestabili se non si comincia fin da ora il cammino nel sentiero corretto.
Un primo tracciato propone scelte di lungo periodo, elettoralmente non paganti quando controproducenti, volte a reinvestire su programmi formativi inclusivi e all’avanguardia, su strutture di ricerca del lavoro aggiornate ed affidabili, sull’abbattimento delle differenze etniche e di genere, sulla rivitalizzazione di salari degni, su politiche abitative corrispondenti alle capacità di spesa e su sostegni alla natalità.
Questa strada può dar luogo ad una spirale di aumento dell’occupazione, dei salari e di conseguenza del welfare, dei servizi e delle pensioni.
Al contrario misure tampone fin troppo rifornite di propaganda e molto meno di una struttura organica in grado di renderle operative, sussidi offerti per fini elettorali ma privi di una utilità di lungo corso, politiche di respingimenti e di marginalizzazione del diverso (per etnia o altro) avranno un effetto catastrofico e difficile da recuperare.
Per imboccare la prima via, secondo Rosina, è opportuno abbandonare l’italica idea che bastino soldi e progetti, è l’impatto reale che questi hanno sulla vita di tutti, a cominciare da giovani ed ultimi, che potrà qualificare davvero da quale parte il Paese stia andando.