Fuori dal mercato un quinto delle pmi attive nel 2007. Rispetto all’inizio della crisi, le sopravvissute hanno perso 31 punti percentuali di Mol e più che dimezzato il ROE, passato dal 13,9% al 5,6%. Le sofferenze bancarie delle Pmi hanno toccato un massimo del 2,9% nel 2013 e sono attese oltre il 3% nel triennio 2014-2016. Ricavi e margini torneranno a crescere nel prossimo biennio, ma a ritmi lenti: il Mol si attesterà nel 2016 al -25% rispetto ai livelli pre-crisi. Finora le misure sui mini-bond hanno mobilitato 4,2 miliardi di euro, di cui solo 226 milioni da parte di 29 PMI su un potenziale stimato di 2.500 emittenti.
E’ quanto scrive il Cerved, primo gruppo in Italia nell’analisi del rischio del credito, in un rapporto presentato durante il convegno ‘Osservitalia 2014’ dedicato alle pmi. “Si tratta di circa 144mila società – commenta Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved – che nel complesso generano un giro di affari di 851 miliardi di euro, un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, e che hanno contratto debiti finanziari per 271 miliardi di euro“.
L’analisi di Cerved
I debiti finanziari delle PMI si sono ridotti tra il 2011 e il 2013 di 4,1 punti percentuali, mentre per le grandi società sono aumentati nel 2012, diminuendo solo marginalmente nel 2013 (-0,9%). La restrizione del credito non ha riguardato in modo omogeneo tutte le PMI: spinte anche dalle regole di Basilea, tra il 2008 e 2013, le banche hanno selezionato con maggiore attenzione la clientela, riducendo i finanziamenti alle realtà più rischiose e continuando a erogare prestiti a quelle più affidabili. L’analisi di Cerved evidenzia che questa restrizione e selezione del credito non è stata operata solo dalle banche, ma anche dalle stesse imprese nell’erogazione dei fidi commerciali. Secondo i dati di Payline, nel 2013 il credito commerciale si è ridotto di 2,7 punti percentuali, ma non tra le PMI più affidabili, che hanno invece ottenuto un aumento degli stessi del 4,5% rispetto all’anno precedente. Le aziende più rischiose hanno invece registrato una restrizione dei fidi di 16 punti percentuali.
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Dal 2008 ne sono fallite 13 mila, più di 5 mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente: nel complesso, un quinto di quelle attive nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste procedure. La crisi ha avuto impatti negativi anche sulla natalità delle imprese: il numero di start up si è ridotto e, tra le nate, è diminuita la presenza di aziende in grado, a tre anni dalla nascita, di insediarsi sul mercato e sopravvivere. Il minore sostegno finanziario ha avuto la sua parte: solo 5mila start up nel 2012 hanno iniziato l’attività con prestiti bancari, quasi la metà rispetto alle nate del 2007. Le pmi sopravvissute hanno pesantemente sofferto la caduta della domanda e sono caratterizzate da condizioni reddituali precarie.
Con fatturato e valore aggiunto in calo, i margini lordi si sono contratti di 31 punti percentuali tra 2007 e 2013. Il numero di società che hanno chiuso l’esercizio in perdita è ai massimi e la redditività netta si è più che dimezzata, passando dal 13,9% al 5,6%: pesano soprattutto l’aumentato costo del lavoro e il calo della produttività. Un’ampia platea di Pmi, circa il 30%, non ha contratto prestiti bancari: si tratta prevalentemente di imprese piccole, che non hanno in bilancio altri tipi di debiti finanziari e che operano autofinanziandosi. Le imprese che invece hanno bisogno di risorse finanziarie per operare, dipendono quasi completamente dalle banche (per l’impresa mediana, il 98% dei debiti finanziari ha natura bancaria), con livelli decisamente maggiori rispetto alle Pmi tedesche, spagnole e francesi.