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Crisi in Venezuela, proteste e violenza continuano: cosa sta succedendo?

La crisi in Venezuela non accenna a diminuire e le proteste continuano a infiammare le strade del paese con una violenza quasi quotidiana. Le ultime news dal Venezuela passano dal Vaticano e dalla lettera che Nicolás Maduro ha inviato a Papa Francesco perché faccia da mediatore e “ponga fine all’uso frequente di bambini” nelle “azioni di violenza terrorista” che stanno sconvolgendo il paese. La lettera, inviata tramite il nunzio apostolico a Caracas, contiene la versione del governo sull’ultima vittima delle proteste, il 17enne Neomar Lander, la cui morte ha colpito l’intero paese ed è stata condannata dalla Chiesa venezuelana. Il giovane è morto il 25 maggio colpito al petto da un proiettile: per il governo sarebbe morto nel tentativo di azionare un mortaio casalingo, ma i video smentiscono questa versione e accreditano quella di un colpo partito dalla polizia.

La morte di Neomar Lander a soli 17 anni ha segnato uno dei punti più bassi delle violenze che sta vivendo il Venezuela e non solo per la giovane età del ragazzo. Secondo la Procura generale, Lander sarebbe la 66esima vittima degli scontri dall’inizio delle proteste iniziate ad aprile, mentre per il ministro della Comunicazione sarebbe l’81esima e per altri fonti ministeriali la 98esima.

L’omaggio di un gruppo di studenti a Neomar Lander

Già il balletto di cifre sul numero delle vittime accertate degli scontri in Venezuela ci dice molto del caos che regna nel paese, ma da cosa nasce e qual è il ruolo del presidente Maduro?

Crisi in Venezuela, le proteste

Le ultime news sul Venezuela non sono per nulla confortanti. Le proteste, iniziate ad aprile, da mesi sono all’ordine del giorno mentre nel paese mancano generi di prima necessità, il cibo scarseggia così come le medicine tanto che il paese ha visto un aumento della mortalità infantile. Maduro ha pensato di sostituire l’ex ministro Antonieta Caporale con Luis Salerfi López Chejade ma la situazione non è migliorata e sarà difficile che possa cambiare nel breve periodo: i dati resi noti a maggio 2017 dopo tre anni di silenzio dicono che la mortalità infantile è aumentata del 30% e la mortalità materna (per parto o per problemi in gravidanza) del 65%.

Sulla carta, le proteste in Venezuela sono politiche, cioè pro o contro Maduro, ma la situazione è più complessa. Allo scontro tra i sostenitori del presidente chavista (quindi di sinistra) e i suoi avversari anti chavisti, uniti nella Mesa de la Unidad Democratica (MUD), si somma quello delle persone comuni che stanno vivendo la peggiore crisi economica della storia del Venezuela e che ha portato il paese allo stremo delle forze.

Oltre agli attivisti e ai politici è dunque la gente comune, il popolo che tanto ha amato Chavez, a protestare. Non a caso l’arma per eccellenza delle proteste di oggi sono le puputov, una sorta di molotov fatte con contenitori pieni di escrementi umani, che vengono lanciate contro la polizia.

La maggior parte dei manifestanti scende in strada perché ha letteralmente fame, visto che i tre quarti dei venezuelani riesce a stento a fare due pasti al giorno.

Crisi in Venezuela, cosa sta succedendo a livello politico

Maduro mostra il decreto per la convocazione dell’Assemblea costituente

La situazione politica al momento è in stallo. Da una parte c’è Maduro, attaccato con le unghie e con i denti al potere, dall’altra i 15 partiti d’opposizione riuniti nella MUD (aveva fatto notizia la protesta di Lilian Tintori, moglie del leader dell’opposizione Leopoldo López, condannato a 14 anni di carcere per incitamento alla violenza durante le proteste del 2014).

Luisa Ortega Diaz

Al centro il procuratore generale del Venezuela, Luisa Ortega Diaz che ha chiesto il rinvio a giudizio di otto magistrati dell’alta corte “per la salute istituzionale del paese“. Ortega ha chiesto che venissero rimossi in un discorso che ha incendiato gli animi. “Non può accadere che la Corte Suprema dica: ‘Oggi non mi piace l’Assemblea Nazionale e lo cancello’, domani, ‘Non mi piace la Procura generale e la cancello e via dicendo“, ha dichiarato, sottolineando il pericolo che corre “la nazione, lo stato di diritto, la pace e i cittadini“. “Sarebbe la morte della legge se permettiamo a questi giudici di rimanere in carica” perché “hanno cercato di smantellare lo Stato“.

Crisi in Venezuela, come e perché sono nate le proteste

Le parole del procuratore Ortega sono l’ultimo atto della vicenda politica che ha causato le proteste in Venezuela.

Tutto è iniziato con le elezioni del 2015 quando le opposizioni, riunite nella coalizione MUD, ottengono la maggioranza all’Assemblea nazionale, il Parlamento monocamerale venezuelano: non accadeva da 17 anni, cioè dall’arrivo di Hugo Chavez al potere.

Maduro, che già era stato eletto nel 2014 con una maggioranza risicata, non ci sta e accusa il nuovo parlamento di “disprezzare la legge” per aver confermato l’elezione di tre deputati accusati di frode elettorale. Il Tribunal Supremo de Justicia (TSJ), cioè la Corte Suprema dove può contare sulla maggioranza dei giudici, lo asseconda e accusa l’Assemblea “di ribellione e oltraggio“, attribuendosi i poteri dell’Assemblea nazionale. Le opposizioni gridano al colpo di stato, i manifestanti scendono in piazza e Maduro torna sui suoi passi.

Le opposizioni capiscono che è il momento giusto per colpire e affondare il presidente chavista. Le elezioni sono previste nel 2018 ma la popolarità di Maduro è a livelli bassissimi (7 venezuelani su 10 sono contro di lui) e invocano un referendum, bocciato il 20 ottobre 2016 per irregolarità procedurali. Fallito il tentativo, gli anti chavisti chiedono elezioni anticipate in parlamento e nelle strade di Caracas.

Maduro non solo non molla ma rilancia: sa che non potrà mai essere rieletto e così il 1° maggio di quest’anno annuncia la convocazione di un’Assemblea costituente per cambiare la Costituzione in senso “chavista”, nonostante sia stata approvata nel 1999 e scritta dallo stesso Chavez che la definì “la migliore del mondo“.

Da allora non ci sono state novità se non l’annuncio della data per il voto sui delegati dell’Assemblea il 30 luglio. La decisione di Maduro ha esacerbato gli animi e le proteste sono esplose con violenza fin dal mese di aprile, con le opposizioni che chiedono il ritiro del provvedimento e il governo intenzionato ad andare avanti.

Crisi in Venezuela, la vera causa

Finora abbiamo parlato di cause politiche della crisi in Venezuela, ma la vera causa è un’altra ed è legata alla crisi economica. Il Venezuela ha petrolio e risorse naturali che lo hanno reso uno dei paesi più ricchi del Sudamerica ma anche uno dei più ingiusti, con enormi sacche di povertà tra la popolazione a fronte del benessere di pochi. L’arrivo di Chavez al potere nel 1998 cambia la politica economica in senso socialista: la nazionalizzazione dell’industria petrolifera viene rafforzata e si apre la fase di un “governo bolivariano”, ispirato al padre della nazione Simon Bolivar e al suo sogno di libertà e giustizia sociale.

La lotta alla povertà ha successo grazie ai finanziamenti statali alla sanità, all’istruzione, all’edilizia popolare che arrivavano dal petrolio. L’equilibrio si rompe alla morte di Chavez nel 2013: il crollo del prezzo del petrolio nel 2014 mette definitivamente in crisi l’intero sistema, con il Paese che non ha più di che pagare i debiti.

L’avvento di Maduro al potere non ha fatto che peggiorare le cose. Chavez governava anche (se non soprattutto) grazie al suo carisma personale che lo ha reso una sorta di icona intoccabile per il popolo venezuelano, mentre il suo braccio destro non ha nulla del suo magnetismo.

L’incapacità di gestire la crisi economica ha gettato il Venezuela nel caos: il paese ha la più alta inflazione al mondo con un tasso schizzato all’800%, e con le stime del FMI che lo danno in crescita per il 2017 al tasso folle del 1.600%. La contrazione del peso globale dell’economia nazionale è stata dell’11,3% e milioni di famiglie sono ripiombate nella povertà.

È questa la causa principale che spinge giovani e meno giovani a protestare in Venezuela, paese oggi al collasso e che rischia di scivolare in una guerra civile tra poveri.

Lorena Cacace

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