Dopo la debacle elettorale del 25 settembre e la decisione del segretario Enrico Letta di non ricandidarsi nel prossimo congresso, vari esponenti e figure del mondo Dem voglio dire la loro sull’evoluzione della crisi PD.
Nelle elezioni politiche del 25 settembre il Partito Democratico ha incassato un 19% di preferenze, in lieve risalita rispetto alle politiche del 2018, ma in realtà assai meno in voti assoluti per via della forte crescita dell’astensione, che falsa i risultati espressi in proporzione.
Sergio Staino si dimostra critico verso la decisione di Enrico Letta di abbandonare il ruolo di segretario del Partito Democratico, volontà espressa nel corso della conferenza stampa post-voto del 26 settembre.
Secondo il vignettista l’errore del leader Dem riguarderebbe principalmente le tempistiche: il partito necessita una rifondazione tematica, di proposta politica e visione sociale, comunicare già ora le proprie dimissioni (anche se effettive solo dopo il congresso nazionale) vorrebbe dire nuovamente concentrarsi sui nomi e non sugli ideali, su chi deve essere il rappresentante e non su chi si vuole rappresentare nella società.
Perché, prosegue Staino, il problema vero del PD è di definirsi una forza di centrosinistra senza riuscire ad avere il sostegno di operai e fragili, i quali votano a destra, mentre dovrebbero essere il primo bacino di voti per un gruppo sedicente progressista.
Giudizio opposto su Letta, ma convergente su quanto il partito debba fare in fatto di temi e rappresentanza, è quello di Paola De Micheli. L’ex ministra delle Infrastrutture del governo Conte II ha ammesso la sua disponibilità a sostituire il segretario uscente proponendo un cambio radicale della formazione nata nel 2007 da Walter Veltroni.
Secondo De Micheli è tempo che il PD assuma una linea netta e radicale, eliminando quel pressapochismo figlio di una indecisione verso le classi sociali a cui rivolgersi: insomma quel guardare un po’ verso il centro, un po’ verso la sinistra che di fatto rende i Democratici un semplice contenitore di idee moderate e radicali che poco si intrecciano con coerenza tra loro.
Per far ciò sarebbe anche necessario, conclude l’ex ministra, riammodernare un linguaggio troppo complesso ed elitario per renderlo più fruibile ed appetibile agli elettori.
Chi davvero tuttavia sembra poter aspirare a sostituire Enrico Letta è Stefano Bonaccini, il governatore dell’Emilia-Romagna. Anche quest’ultimo fa prevale il discorso del progetto, da cui poi derivano i volti, altrimenti il partito brucerà un nome dietro l’altro se il rappresentante non sa chi rappresentare e cosa difendere.
Quindi anche Bonaccini parla di rifondazione, di radicale rinnovamento anche attraverso il coinvolgimento di quei tanti amministratori ed esponenti locali che continuamente dialogano con il Paese reale ed i suoi bisogni.
Il tempo di questa rivoluzione interna è adesso per il governatore modenese perché, in accordo con Letta, è necessario mandare un segnale deciso ad un elettorato di centrosinistra smarrito e frustrato.
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