Ripercorrere la storia degli avvenimenti è fondamentale per comprenderne al meglio cause, interazioni e possibili sviluppi; per tale motivo, in questo momento di crisi di governo e conseguente instabilità e indeterminatezza per il Paese, risulta centrale ripercorrere gli accadimenti principali che hanno prodotto il contesto coevo.
I fatti si concentrano in particolar modo nel lasso di tempo che va dal 6 al 14 luglio: in questa settimana i due massimi protagonisti, Giuseppe Conte e Mario Draghi, si incontrano e discutono varie volte al fine di scongiurare, inutilmente, quella che da ieri è ufficialmente una crisi di governo.
Ieri sera il premier Mario Draghi è salito al Quirinale dove è stato ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella al quale ha rassegnato le sue dimissioni dall’incarico di primo ministro.
Se l’evento specifico che ha generato la scelta risiede nella non partecipazione del Movimento 5 Stelle al voto di fiducia di ieri, 14 luglio, in Senato sul decreto legge Aiuti, le ragioni profonde sono da ricercarsi per lo meno negli accadimenti degli ultimi giorni.
Un punto di partenza importante è sicuramente mercoledì 6 luglio: in questa data i due recenti Presidenti del Consiglio, Conte e Draghi, si incontrano a Palazzo Chigi. Qui un Movimento sempre più in crisi di consensi ed identità (forse per logica ed importanza sarebbe meglio invertire i due aspetti) tenta di riottenere risalto e slancio all’interno dell’esecutivo affermando la propria centralità nello stesso per equilibrio e scelte del governo.
I 5S si dicono da sempre ben disposti e fedeli al sostegno all’ex banchiere, ribadendo inoltre la responsabilità continuamente mostrata durante l’intera legislatura, pur segnata dall’alternanza di alleanze di governo assai variegate e per certi versi antitetiche tra loro.
Se i grillini quindi propugnano abnegazione verso Draghi, non percepiscono lo stesso sforzo ricambiato dal premier e per tale ragione chiedono garanzie sull’attuazione delle loro politiche. In tal senso si inserisce il documento programmatico in 9 punti che Conte consegna lo stesso 6 luglio nelle mani del capo del governo.
Alcuni ci vedono un ricatto all’esecutivo, altri un segno dell’instabilità interna del partito che tenta di direzionare all’esterno, altri ancora un normale confronto e negoziato a cui la politica è chiamata quale suo scopo principale.
In ogni caso l’ex direttore della BCE accoglie il documento ed il giorno seguente, 7 luglio, si mostra in continuità di vedute con molti punti presentati dall’M5S: le richieste convergono con le mosse che l’esecutivo vorrebbe mettere in campo.
Nonostante il tentativo di Palazzo Chigi di stemperare ricadute negative, la situazione si scalda e non a causa delle alte temperature estive. Molte forze politiche fiutano le tensioni e si predispongono in vista di una eventuale crisi di governo.
L’11 luglio il segretario PD Enrico Letta, alleato grillino, conferma la continuazione della collaborazione tra i due gruppi, ma in pochi vi credono o la ritengono ormai la soluzione migliore per il partito.
Al di là degli annunci, la posizione del Nazareno è forse meglio rispecchiata dalla valutazione del 3 luglio di Dario Franceschini: se i 5S escono dal governo, addio al campo largo per le prossime elezioni.
Si riorganizza anche il centro-destra: Forza Italia si dice disponibile a continuare il sostegno al primo ministro anche senza la formazione di Conte, tuttavia, nel caso, è pronta per una chiamata anticipata ai seggi.
Collocazione che vuole evitare di mettere in difficolta l’alleato al governo Salvini, il quale combatte da vari mesi tra un’ala governista del partito, che vorrebbe continuare l’appoggio a Draghi visto il periodo delicato, e una componente più insofferente e ribelle, che vorrebbe sfruttare la possibilità di critica senza responsabilità decisionale dell’opposizione o del voto per risollevare le sorti elettorali della Lega.
Quest’ultima prospettiva invece riassume l’atteggiamento di Fratelli d’Italia che, poiché già all’opposizione e primo partito nei sondaggi, si dichiara pronta alla chiamata alle urne.
Poco prima del voto in Senato Draghi e Conte parlano nuovamente al telefono: il primo insiste sulla necessità del supporto grillino alla coalizione, sulla impossibilità per l’esecutivo di sottostare agli ultimatum di uno tra i tanti gruppi che sostengono l’inquilino di Palazzo Chigi e sulla sua salita al Colle per le dimissioni nell’eventualità Conte ed i suoi non votino la fiducia al dl Aiuti.
Di fronte al presentarsi opposto degli eventi rispetto alle speranze, unito alla crescente insofferenza per le continue ed estenuanti negoziazioni con le forze politiche, a Draghi non resta che incontrare Mattarella per rimettere il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato.
Per ora il Quirinale ha bloccato l’uscita di scena del Presidente del Consiglio, il quale mercoledì 20 luglio riferirà alle Camere sullo stato dell’arte.
Cosa ne sarà dell’esecutivo da qui in avanti è difficile da delineare, sicuramente voltarsi indietro ed osservare quanto finora si è compiuto può essere un utile esercizio di preparazione.
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