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Siamo arrivati al grande giorno del taglio Irpef, che significa cuneo fiscale meno pesante e qualche euro in più in busta paga per i lavoratori. In Italia il peso di Fisco e contributi sul costo del lavoro segna il dato più alto d’Europa ma, con l’approvazione del DEF 2014, qualcosa inizia a muoversi anche per il taglio del cuneo fiscale 2014. Per la prima volta il premier Matteo Renzi ha messo nero su bianco quali sono le coperture per finanziare l’operazione di taglio dell’Irpef, che porterà (già da maggio?) gli 80 euro in più in busta paga per una folta platea di lavoratori italiani. Come prevedibile, l’intero gioco è subordinato all’approvazione di un altro taglio, quello della spesa pubblica: dei circa 6,7 miliardi di euro che serviranno proprio a finanziare l’abbattimento del cuneo fiscale dal lato lavoratori, almeno 4,5 dovranno arrivare proprio dal risparmio sulle spese della macchina statale. E i restanti 2,2 miliardi da dove arriveranno?
Come funziona, quindi, il meccanismo che porterà all’aumento in busta paga? Da mesi Renzi conferma che il taglio al cuneo fiscale verrà finanziato attraverso un risparmio della spesa e non con un aumento delle tasse. In realtà, però, l’approvazione del Documento di economia e finanza ha smentito in parte questa dichiarazione: per garantire la copertura per il taglio dell’Irpef si passerà anche dall’aumento delle tasse, solo che non saranno i cittadini a pagarle. La notizia più importante è che, dei circa 6,7 miliardi di euro di risparmio sulle spese pubbliche, nel 2014 ne vedremo al massimo 6, di cui solo 4,5 verranno utilizzati per il cuneo fiscale. Il resto arriverà da due novità dell’ultimo minuto: l’imposta sulle plusvalenze delle quote possedute dalle banche in Bankitalia e l’aumento del gettito Iva sui pagamenti della Pubblica Amministrazione.
La tassa sulle quote Bankitalia era stata decisa con un decreto del governo Letta, che prevedeva un’aliquota del 12% e un gettito atteso di circa 1,2 miliardi. Il governo Renzi, con una mossa inattesa, ha stabilito un aumento dell’aliquota che potrebbe portarla addirittura al doppio, al 26%, raddoppiando di fatto anche l’incasso per lo Stato (2,4 miliardi). Alla fine la copertura del taglio del cuneo fiscale sarà così composta: 4,5 miliardi dalla spending review; 1,2 miliardi dall’aumento del maggior gettito dell’Iva derivante dal pagamento di nuovi debiti della PA; 1 miliardo dall’aumento al 26% della tassazione sulle quote Bankitalia. Questo senza contare che il taglio del cuneo fiscale, che per il 2014 ammonta a 6,7 miliardi nel periodo compreso tra maggio e dicembre, tradotto su base annua diventa di 10 miliardi in via strutturale. Qualche ulteriore fondo dovrebbe essere, comunque, reperito anche dal taglio degli stipendi dei manager pubblici, contingentati proprio nel DEF 2014.
A breve dovrebbe essere presentato il decreto per far scattare fin da maggio il primo dei provvedimenti per risollevare la situazione delle aziende e agevolare i lavoratori, portando a regime circa 1.000 euro netti all’anno nella busta paga di coloro che guadagnano meno di 1.500 euro al mese. Il riferimento, ovviamente, è agli 80 euro medi in busta paga per circa 10 milioni di lavoratori, da cui però sono escluse alcune categorie sensibili. La sforbiciata all’Irpef si concretizzerà in un bonus del 3,5% fino a 17.714 euro di redditi annui, poi sarà fisso a 620 euro tra 17.714 e 24.500 euro e scenderà fino ad azzerarsi alla soglia dei 28mila euro. Nel 2015 si avrà poi un taglio del 5% per i redditi fino a 19.000 euro, o 950 euro per la fascia tra i 19.000 e i 24.500 euro.
Quel che è certo è che la riforma del cuneo fiscale disegnata da Matteo Renzi dovrà passare ora dalle parole ai fatti: il taglio del costo del lavoro è necessario, una priorità se si vuole rilanciare l’economia, ma la rivoluzione di Renzi non piace a tutti. Da un lato c’è chi critica la riforma nel merito, dall’altro chi non crede che il governo abbia davvero i fondi necessari per metterla in pratica. In mezzo si trovano imprese e lavoratori, che attendono il miracolo. L’azione di riforma si concentra non solo sul versante azienda (sgravi fiscali) ma anche su quello del lavoratore, per rilanciare i consumi attraverso una busta paga più sostanziosa. Non può esserci uscita dalla crisi se non si abbatte il costo del lavoro, questa è l’unica certezza.
AUMENTO IN BUSTA PAGA PER CHI?
Renzi sostiene che il governo ha a disposizione 20 miliardi per realizzare le riforme economiche necessarie. Di questi, sono 6,7 quelli che l’esecutivo ha riservato al taglio del cuneo fiscale per l’anno in corso. Lo sgravio sul costo del lavoro per le aziende dovrebbe tradursi in una busta paga più sostanziosa di 80 euro per il lavoratore, anche se l’intervento non riguarda tutti i lavoratori, ma solo i dipendenti (esclusi gli autonomi, dunque) che guadagnano fino a 1.500 euro al mese. Nelle ultime ore si è fatta avanti anche un’altra misura, che dovrebbe riguardare chi guadagna meno di 8mila euro l’anno, ovvero i cosiddetti incapienti esclusi dal pagamento delle tasse. A questi dovrebbe essere riservato un bonus di 30 o 40 euro al massimo, meno di quanto promesso agli altri ma comunque un punto di partenza. Sembra poco ma l’equazione è chiara: non ci può essere crescita senza occupazione e non ci può essere occupazione senza un taglio al costo del lavoro.
E’ proprio questo il cuneo fiscale: in termini economici con questo termine si indica l’insieme delle imposte che gravano sul costo del lavoro, ovvero il costo sostenuto da un datore di lavoro per assicurarsi le prestazioni di un lavoratore (che si tratti di dipendenti o liberi professionisti). Il cuneo, allora, diventa la differenza tra salario lordo pagato dall’azienda e stipendio percepito dal lavoratore al netto delle trattenute fiscali. Per dirlo in parole semplici, un dipendente che guadagna mille euro al mese all’azienda puà costare anche più del doppio a causa delle imposte. Ed è qui che si blocca il meccanismo virtuoso che dovrebbe spingere i datori di lavoro a preferire i contratti stabili (e legali) e che invece finisce per favorire il sommerso, i contratti a termine e il precariato. Il sistema va cambiato, questo il neo premier lo sa, e il cuneo fiscale è solo il punto di partenza. In discussione ci sono anche le tipologie di contratto e gli ammortizzatori sociali.
IL TAGLIO DEL COSTO DEL LAVORO
Taglio del costo del lavoro e crescita economica vanno di pari passo e si influenzano a vicenda: senza il primo difficilmente ci sarà la seconda ma la stagnazione rende, al contempo, molto difficili le manovre sul taglio al cuneo fiscale. Il governo alla fine ha deciso di non sfruttare quello 0,4% che ci separa dal tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil, per scovare le risorse utili da altre parti. Senza contare quei fondi non ‘quotati’ (perché difficili da quantificare a priori) che potrebbero arrivare dal rientro dei capitali dall’estero. Il karma è ‘agire nei vincoli imposti dalla UE prediligendo sempre e comunque la crescita’. Ci riuscirà Renzi? Quel che è certo è che da questa prima impresa dipenderà gran parte della sua credibilità politica.
Il taglio dell’Irap è solo il primo passo, perché il rilancio dell’economia nazionale passa anche attraverso la riduzione dell’Irap del 10%. L’aliquota principale dell’Irap passerà dal 3,9% al 3,5% nel 2015, mentre per quest’anno è prevista un’aliquota intermedia del 3,75%. In questo senso il cuneo fiscale si presenta come operazione a due tappe: per il 2014 si procederà con gli aumenti in busta paga per i lavoratori e nei primi mesi del 2015 si passerà alle aziende, con il taglio delle imposte. Anche qui i critici puntano il dito sul reperimento dei fondi necessari a finanziare il taglio di 10 punti percentuali dell’Irap. Dove verranno presi i soldi? Dopo un tira e molla tra le parti in causa, pare proprio che la copertura sarà assicurata dall’aumento della tassazione sulle rendite dal 20% al 26%, con esclusione dei Bot (e tirano un sospiro di sollievo i piccoli risparmiatori). Secondo il Presidente del Consiglio ci sono tutti i parametri necessari per realizzare le coperture di cui si ha bisogno.
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