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Il tema delle cure palliative nel trattamento dei malati oncologici è stato al centro di un convegno che si è tenuto a Roma, dal titolo ‘Corpo e spiritualità nel dialogo transculturale in Oncologia’. Il congresso internazionale che si è svolto presso il Nobile Collegio Chimico Farmaceutico, in collaborazione con l’Istituto di Studi Europei ‘Alcide de Gasperi’ e con il patrocinio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato suddiviso in tre sessioni: ‘Il Corpo’, ‘Il Dialogo’, ‘I Diritti’. Gli esperti riuniti hanno concordato nel ritenere necessaria una maggiore conoscenza delle cure palliative. Non solo in Italia, ma anche in prospettiva di un dialogo con i paesi del Mediterraneo in modo tale da implementare una rete di scambi culturali per le cure oncologiche.
All’incontro sono intervenuti, tra gli altri: Francesca Bordin (Cure Palliative Ini Grottaferrata); Domenico Corsi (primario oncologia Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina); Valentina Gazzaniga (ordinaria Storia della Medicina Università ‘La Sapienza’); Maria Teresa Iannone (responsabile Servizio Bioetica e Privacy Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina); Rodolfo Lena (presidente Commissione Politiche Sociali e Salute Regione Lazio); Mariagrazia Mazzaraco (presidente Albero Verde della Vita); Italo Penco (presidente S.I.C.P.); Dario Sacchini (Istituto Bioetica Università Cattolica); Antonio Spagnolo (direttore Istituto Bioetica Università Cattolica); Alessandro Stievano (Ordine Infermieri di Roma).
Il sunto di quello che è emerso nel corso del congresso internazionale, lo fa monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita: “C’è una bella legge sulle cure palliative, totalmente ignota, basta qualche caso particolare per far esplodere il clamore, siamo un Paese in questo caso ignorante”, sottolinea nel suo intervento. “Le cure palliative non sono solo un antidolorifico. C’è bisogno di approfondire il tema come indispensabilità dell’accompagnamento all’ultima parte della vita”. In questo senso cure palliative significano “non lasciare mai solo il malato, farlo sentire membro di una comunità, fargli sentire il calore degli affetti, aiutarlo a cercare di individuare tutto ciò che lo faccia sentire parte della vita” conclude monsignor Paglia.
Il fattore importante è dare attenzione al malato, non alla malattia: “La bellezza della legge sulle cure palliative sta nella sua multidimensionalità: non si limita solo alle cure di tipo farmacologico ma alla ricchezza di tutta una serie di terapie di ordine più spirituale e psicologico che dà senso alla prospettiva di vita del paziente”, dice la deputata Paola Binetti (Misto-Udc-Idea). E’ necessario cambiare prospettiva: “tutto quello di cui il malato ha bisogno viene declinato sempre con lo sguardo chino sul suo corpo, molto poco con lo sguardo attento a quella dimensione di spiritualità”. “Ci addolora molto che nelle ultime vicende qualcuno abbia inteso trasformare la ricchezza di questa legge, che permette di dire ‘no’ al dolore con tutti i mezzi possibili, nella via italiana per l’eutanasia. Le cure palliative – sostiene – non hanno nulla a che vedere con l’eutanasia”.
Uno dei problemi maggiori resta la comunicazione con i pazienti, spesso stranieri “tra le maggiori difficoltà riscontrate dai medici c’è quella di dare ‘cattive notizie’ al malato. Questo impone una rigorosa metodologia di come affrontare il malato per evitare proprio difficoltà di comunicazione. Specie oggi che c’è uno scambio con culture diverse in cui bisogna approcciare religioni, spiritualità e stili di vita diversi”, ha tenuto a precisare Gaetano Lanzetta, oncologo di fama internazionale, e coordinatore Aiom, Sezione Regione Lazio.
Il dialogo può essere difficile, ce lo spiega Roberto Iannone, responsabile della comunicazione dell’Istituto di Studi Europei ‘Alcide de Gasperi’ che apre il discorso alla transculturalità: “Il dialogo in genere ed il dialogo transculturale in ambito sanitario è ricco di insidie, di stereotipi che possono dar luogo ad eventi indesiderati nonostante scienza e coscienza. E’ necessario uno sforzo di comprensione in primo luogo da parte delle organizzazioni in ambito sanitario prima che da parte degli operatori tutti. La storia umana di ogni singolo individuo nella malattia passa per una rete di relazioni che qualificano o squalificano l’atto medico e la vera autonomia del paziente”. Insomma bisogna cambiare strategie di comunicazione, ha concluso Iannone.
Ed è stato infine Gianfranco Costanzo, dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà, a parlare dell’accesso alla cure degli stranieri in Italia, spiegando che spesso la gente cede ai pregiudizi, sbagliando: “Certa narrativa del migrante – ha detto – racconta che è sporco, porta malattie, è un pericolo per la nostra società. E invece è il contrario: il migrante che arriva da noi è quasi sempre in buono stato di salute tuttavia peggiora nel corso della permanenza nel nostro territorio, riscontrando difficoltà in 5-10 anni, in quanto va man mano a somigliare ai nostri poveri”.
In collaborazione con AdnKronos
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