Sorgerà a Milano il primo Centro nazionale contro il cyberbullismo e le attività illegali in Rete e sarà dedicato a Carolina Picchio, la ragazza di 14 anni suicidatasi perché vittima di cyber bulli. La sua morte, come ci ha ricordato il papà Paolo in un’intervista, è stata la prima riconosciuta in Italia legata al cyberbullismo, fenomeno in costante crescita nel nostro Paese e non solo: l’esplosione della tecnologia e l’accesso di un’intera generazione al mondo del web ha amplificato i numeri di una situazione già difficile da controllare come è il bullismo. Cosa spinge ragazzini anche pre adolescenti a diventare carnefici? Cosa si nasconde dietro alla violenza, verbale ma anche fisica, che viaggia online? Soprattutto, cosa fare per arginare un fenomeno sempre più pericoloso? Lo abbiamo chiesto al professore Luca Bernardo, pediatra e direttore della Casa Pediatrica del Fatebenefratelli-Sacco di Milano, il primo a occuparsi del bullismo e del cyberbullismo in ogni suo aspetto.
Professore, da anni si occupa di bullismo: che differenza c’è, se c’è, con il cyberbullismo?
Abbiamo intrapreso questa battaglia ufficiale dal 2008 e ci siamo occupati del bullismo che è la stessa faccia della medaglia del cyberbullismo con la differenza che il primo, a un certo punto della giornata, termina perché la vittima rientra in un ambiente sicuro come può essere la famiglia. In rete invece non ci sono confini e orari e il bullo può agire continuamente, nell’arco di quasi tutta la giornata. Le vittime all’interno del cyberspazio vengono poi ulteriormente bullizzate anche da tutti coloro che cliccano il famoso “like”.
Quali sono i metodi che usate per aiutare le vittime di cyberbullismo?
Interveniamo in parte sull’attività di prevenzione e in maggior parte su quella di cura attraverso un centro multidisciplinare dove lavora un pediatra adolescentologo, cioè esperto dell’adolescenza, uno psicologo psicoterapeuta, il neuropsichiatra infantile e, nel caso di ragazzi intorno ai 17-18 anni, anche lo psichiatra. Questo perché alcune vittime possono entrare in depressione, avere disturbi della relazione, disturbi eterolesivi o autolesivi ed è quindi necessaria anche un intervento di tipo medico.
Dall’altra parte, abbiamo attivato con l’Accademia di Brera il corso di ricerca e terapeutica artistica, attivo tutti i giorni, da lunedì a venerdì all’interno dell’ospedale; un corso di autostima e autodifesa con cui, primi nel mondo, abbiamo formattato e adattato il Krav Maga, in una disciplina di autostima e, nel caso, anche di autodifesa. Abbiamo attivato il Centro Ippico Lombardo e stiamo attivando anche la parte della pet therapy con gli animali domestici ma, nel caso di allergie, anche con animali robot, che abbiamo notato sono molto utili nel coinvolgimento dei ragazzi e dei bambini.
Qual è, invece, la strategia da attuare nei confronti del bullo?
Se nella vittima il sentimento più grave è quello dell’umiliazione e della vergogna, nel bullo è la rabbia e l’aggressività e la non empatia e dobbiamo lavorare su questo.
Da cosa scaturisce la rabbia? Da traumi?
Il bullismo parte fin dalla terza classe primaria fino alle prime classi delle superiori, con il periodo di punta tra medie e prime superiori. Si inizia così presto perché è a scuola che si struttura il concetto di classe e quindi di leader positivo o negativo. In casa pediatrica (noi parliamo di 1.130 casi nuovi all’anno che rappresentano il 72 percento a livello nazionale), spesso riscontriamo episodi di violenza all’interno della famiglia, sia verbale che fisica, che i bulli vivono dentro casa e che quindi poi portano all’esterno. Abbiamo anche dei casi di traumi pregressi come abusi o aggressioni.
L’evoluzione del bullismo è questa: fino a due-tre anni fa, dicevamo che il bullo identificava la vittima perché diversa e quindi si parlava di bullismo omofobico, bullismo sessuale, razziale. Oggi invece il bullo non fa più questa distinzione e aggredisce meno dal punto di vista psicologico e più spesso dal punto di vista fisico, usando il palcoscenico multimediale che permette, anche senza mostrare il volto di diventare un eroe multimediale.
Come è possibile che i genitori, sia della vittima che del bullo, non se ne accorgono?
È veramente difficile non accorgersi che sta succedendo qualcosa all’interno della famiglia. Il primo segnale indicatore è il cambiamento sia nel bullo (aumentata l’aggressività, la violenza verbale all’interno della famiglia o la violenza fisica verso fratelli e sorelle) sia nella vittima (isolamento, cambiamento in negativo delle abitudini). Il cambiamento è sempre sintomo di qualcosa. Con l’aiuto di un esterno, anche della scuola, oltre che degli esperti e degli amici, si può e si deve capire cosa sta succedendo.
Il cyberbullismo è più difficile da controllare perché sul web manca una forma di controllo: sarebbe necessario quindi più controllo da parte dei genitori?
Assolutamente sì, ma il problema è che i genitori spesso non sono in grado di stare al passo con le capacità tecnologiche dei ragazzi e hanno difficoltà a stargli dietro. Nei social network più comuni c’è un mancato controllo a monte di quello che sta avvenendo: il controllo avviene solo quando il fatto è avvenuto.
Ma quale deve essere la linea di confine tra il controllo e la non ingerenza che i genitori non devono superare?
Intanto bisogna rispettare le parti. Ci sono social dove non ci si può iscrivere sotto i 14 anni: capisco che alcuni genitori cedano per amore dei figli, ma così non li aiutiamo perché a 11, 12 anni non va bene essere iscritti ai social. Il controllo ci deve essere: un minorenne deve essere protetto, pur nel rispetto della loro privacy. È il parlare con loro che è fondamentale in uno snodo come è l’adolescenza. Urlargli, dargli ordini, usare autorità e non autorevolezza è sbagliato.
Quanto è, quindi, importante l’approvazione della legge sul cyberbullismo?
È fondamentale. Il disegno di legge della senatrice Ferrara è ancora fermo ed è una cosa incredibile perché è una legge che fa bene ai ragazzi, alle famiglie, agli operatori e a tutti i cittadini, di oggi e di domani. Questa legge, al massimo dopo l’estate, deve passare perché non credo che ci siano cose più importanti dei nostri ragazzi. Non servono leggi repressive (che tra l’altro ci sono già quando il fatto diventa reato), ma dobbiamo fare delle leggi che siano volte al recupero. Non dobbiamo dare un giudizio ma dare un servizio: la legge deve essere al servizio di tutti.
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In collaborazione con Lorena Cacace