La campagna elettorale per le elezioni del 25 settembre è ormai al suo culmine, eppure nessun partito o esponente della politica ha citato il tema della cybersicurezza, nonostante l’importanza sempre maggiore della questione.
Sempre più servizi, attività e porzioni della vita quotidiana e lavorativa di ciascuno si stanno spostando nel mondo dell’online ed in un periodo di guerra e forti tensioni internazionali tra potenze ciò dovrebbe mettere in allarme politica ed istituzioni.
Nel 2021 gli attacchi informatici verso l’Europa sono aumentati del 20%: lo rivela un rapporto del Clusit, l’Associazione italiana di esperti di sicurezza informatica. Lo stesso ente ha stimato che i danni globali dovuti all’attività criminale sul web sono superiori ai 6 trilioni di dollari.
Negli ultimi anni si è assistito ad un intensificarsi di attacchi ad aziende private, partecipate statali, enti istituzionali con scopi che vanno dal furto dei dati per motivi di ricatto e spionaggio industriale e militare alla creazione di disservizi volti a ingolfare la macchina statale e generare dissidi sociali interni.
Eppure nessun partito sembra interessarsene, salvo per qualche sparuta riga in alcuni programmi elettorali. Al contrario la cosa dovrebbe generare allarme ed una seria definizione di obiettivi operativi attraverso cui mettere in sicurezza i principali asset militari e produttivi della Penisola, i più esposti a questo genere di interventi criminali.
Ciò a maggior ragione vista la guerra che imperversa nell’Est Europa, nella quale una delle nazioni coinvolte, la Federazione Russa, ha sempre fatto alacremente uso di strumenti ibridi, come appunto gli attacchi informatici, per destabilizzare ed indebolire i Paesi che le si opponevano come ostili.
Naturalmente quelli russi non sono gli unici hacker attivi a livello globale, si rammentano importanti gruppi cinesi, iraniani e venezuelani; tuttavia la congiuntura odierna spinge il Cremlino a finanziare tali organizzazioni criminali (o semplicemente ad acquistarne i frutti del proprio operato criminoso, indirettamente incentivandolo) con il fine di far desistere innanzitutto le nazioni europee dal loro sostegno alla causa ucraina e dalla loro adesione alla linea geopolitica statunitense.
Se è pur vero che le responsabilità degli attacchi informatici sono sempre molto difficili da individuare, resta inoppugnabile che anche la semplice vendita di informazioni militari o industriali, sottratte da qualche gruppo di hacker magari indipendente ed apolitico, in cambio di laute parcelle possa interessare una nazione attualmente in lotta ideologico-dialettica con buona parte del mondo come è oggi la Russia di Putin.
Intanto le intromissioni online proseguono, l’80% delle aziende italiane afferma di non sentirsi al sicuro da possibili offensive di hacker ai propri sistemi, le segnalazioni di utilizzo di strumenti di guerra ibrida da parte del Cremlino aumentano di giorno in giorno e nonostante ciò la politica italiana parla del web solo per deridere o criticare il tweet o il videomessaggio di quello o quell’altro esponente.
Il mondo online sta sempre più divenendo una realtà alternativa e parallela di vita, sarebbe forse il caso di occuparsi anche di questa seconda casa fatta di byte.
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