Come un fulmine a ciel sereno (e poi mica tanto), mentre la presidentessa del Consiglio, Giorgia Meloni, incontrava a Palazzo Chigi il generale libico Khalifa Belqasim Haftar, padrone della Cirenaica, per discutere della questione migranti, dalla Francia, e in particolare dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin sono arrivate parole non troppo edulcorate nei confronti della nostra Italia, meglio del governo di centrodestra che guida il Paese. Al centro, sì, la gestione dei flussi migratori, ma non solo perché nel braccio di ferro iniziato poco dopo l’insediamento del nuovo esecutivo con i francesi c’è molto altro.
C’è l’ombra della Russia, che spaventa l’Unione europea e anche gli Stati Uniti, c’è un veto importante che Emmanuel Macron potrebbe mettere sui fondi del Pnrr per l’Italia e sul patto di stabilità, c’è la vicinanza del nostro governo a chi, in Francia, siede tra i banchi dell’opposizione come Marine Le Pen, che visto il calo di popolarità del presidente potrebbe arrivare all’Eliseo e prenderne il posto che di fatto, però, ha riottenuto solo un anno fa.
C’è un po’ di tutto, e soprattutto c’è un dietrofront della nostra premier che, sotto traccia, stavolta non ha nascosto l’irritazione per le parole del ministro francese, e ha mandato in avanscoperta il suo vicepremier (in quota Forza Italia) Antonio Tajani, che ha annullato a data da destinarsi l’impegno a Parigi, chiedendo poi anche le scuse di chi per primo ha attaccato senza remore il modus operandi della maggioranza, che sempre ieri ha licenziato alla Camera la conversione in legge del decreto Cutro, quello approvato all’indomani della tragedia che nel paesino calabrese ha portato alla morte di quasi 100 migranti.
Non solo, però, perché a data da destinarsi pare essere rimandato anche il vertice, si parla di una cena formale, tra la stessa Meloni e Macron. Un vertice a cui si lavorava da mesi, che sarebbe dovuto esserci anche prima del G7 in Giappone di metà maggio, e che serviva a porre le basi per una pace (quasi) duratura tra l’Italia e la Francia, che in questi mesi hanno avuto più di qualche screzio a livello diplomatico e su cui aveva messo una pezza, a modo suo, il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Dal Quirinale, in quest’occasione, non è arrivato nulla, né un messaggio distensivo, né una parola a supporto di quello che invece sta facendo il centrodestra. La situazione, nei fatti, è molto più complicata di così, e non è un caso se l’ennesimo scontro è avvenuto proprio quando il leader della Cirenaica è stato accolto a Palazzo Chigi.
Haftar – con cui la leader di Fratelli d’Italia e il ministro degli Esteri lavorano da tempo per cercare di porre quantomeno un freno all’ondata di sbarchi, che nei primi cinque mesi del 2023 sono triplicati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando a capo del governo c’era Mario Draghi, in cambio di un aiuto che si può tradurre in risorse economiche e proventi energetici – è vicino a Vladimir Putin, sta lavorando di sponda, e sta facendo irritare persino il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, oltre che, come dicevamo prima, preoccupare Bruxelles e Washington.
Ma, accennavamo, non c’è solo quello. Perché a irritare i francesi potrebbe essere stato anche il patto, il cosiddetto piano Mattei per l’Africa, che Meloni ha in mente di rendere concreto con investimenti che, però, almeno in Tunisia, non possono prescindere dall’Eliseo, che dovrebbe fare da intermediario.
Ecco, per quanto riguarda la questione più prettamente interna al suolo dei cugini d’oltrealpe. Il riferimento palese alla numero uno del Rassemblent National da parte di Darmanin è stato letto dalla premier come un tentativo per non dare credito a La Pen, che dopo l’approvazione della riforma delle pensioni ha recuperato terreno su Macron, ma anche un modo per parare i colpi ora che se ne stanno prendendo diversi.
Ma se questo è un modo per salvarsi in calcio d’angolo, alimentare lo scontro sarebbe più un problema per il nostro governo o per quello della Francia? A voler vedere bene le cose, a nessuno gioverà continuare il braccio di ferro, ma a uscirne con le ossa più rotte potrebbe essere proprio l’Italia, specialmente in Europa e nell’Unione europea.
Non è un mistero che il presidente francese abbia molti più contatti di peso rispetto a Meloni – che gioca ancora anche con i Paesi di Visegrad, e in particolare con Victor Orban, primo ministro dell’Ungheria -, non è un mistero che da Bruxelles stiano spingendo affinché anche a casa nostra si ratifichi il Mes, e non è un mistero neanche che i fondi del Recovery Fund siano in bilico, così come potrebbe tagliare le gambe alla nostra economia anche l’approvazione del nuovo patto di stabilità. Su questi ultimi due punti, soprattutto, Parigi potrebbe tornare utile a Roma, ma non solo.
Perché un altro campo di battaglia tra la presidentessa del Consiglio e Macron riguarda anche le prossime elezioni europee del 2024. Il numero uno dell’Eliseo, infatti, non vedrebbe di buon occhio un avvicinamento del Partito popolare europeo (di cui per altro fa parte lo schieramento di Silvio Berlusconi, e Tajani, ovvio), ai Conservatori, di cui Fratelli d’Italia è parte integrante, specialmente perché ridimensionerebbe il ticket franco-tedesco, ma dall’altra parte questo è anche quello di cui ha bisogno Meloni che, dal canto suo, sta provando in tutti i modi di arrivare all’appuntamento con le urne preparata in modo da uscirne vittoriosa. Chissà, però, perché mentre si combatte a distanza con i francesi, c’è anche lo spettro di Elly Schlein e del Partito democratico che incombono, e il terreno, di base, è molto più favorevole ai dem rispetto a chi, negli anni, si è un po’ messo ai margini.
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