Hilal, all’età di 12 anni, è stato trasformato in un kamikaze: un giorno gli misero addosso una cintura carica di esplosivo e gli ordinarono di farsi esplodere. Lui capì subito che non aveva alcuna intenzione di trasformarsi in una macchina (umana) da guerra e così decise di fuggire dalla tua terra natia, l’Afghanistan.
A 12 anni, si è ancora troppo piccoli per poter comprendere il significato della morte, figuriamoci della guerra. Le giornate dovrebbero trascorrere serene, tra scuola, compiti e sport, tuttavia se nasci in Afghanistan la vita, anche a 12 anni, ha tutto un’altra impronta.
La storia di Hilal, raccontata da La Stampa, mette davvero i brividi. Era ancora un bambino ed era già rimasto senza genitori, senza fratelli e sorelle, completamente solo. Qualcuno un giorno li si avvicinò e gli disse: ‘C’è la guerra agli americani, a tutti i nemici dei musulmani, e tu devi fare ciò che diciamo: schiaccia questo pulsante, non sentirai nulla e andrai dritto in paradiso’. Era piccolo e senza speranze per il futuro. A un certo punto si è trovato con una cintura di esplosivo legata in vita e abilmente nascosta sotto la cinta, nella zona di Herat, pronto a saltare per aria.
Hilal tremava, era ben cosciente che nel giro di pochi minuti, azionando l’esplosivo, si sarebbe trasformato in cenere: ‘Pensavo che nel giro di pochi minuti sarei morto, e non ce l’ho fatta’. Così decise di non premere quel pulsante ed è in quel preciso istante che la sua nuova vita ha avuto inizio. Nulla è stato facile: per il suo rifiuto di sacrificarsi in nome della lotta agli infedeli, gli hanno bruciato il braccio destro, ma lui ha continuato a rifiutarsi, per ben tre volte, finché poi è riuscito a fuggire.
Da quel momento è iniziato un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, che è durato due anni. A un certo punto, in Grecia, è riuscito a farsi caricare su un tir ed è arrivato finalmente in Italia. Inizialmente è stato accolto a ‘L’Approdo’, una casa famiglia dove è stato ospitato al fianco di altri minori, italiani e stranieri, rimasti soli. Questo luogo accogliente è diventato la sua casa e chi viveva con lui, la sua famiglia. Ha scoperto un modo di vivere totalmente diverso da quello violento che aveva conosciuto in Afghanistan.
Poi qualcuno si è accorto di lui: l‘associazione Luconlus lo ha iscritto a Roma a un corso di pasticceria con stage di tre mesi presso un artigiano locale del settore. Terminato il percorso formativo il titolare, Salvatore Bono, ha voluto tenere il ragazzo a lavorare con sé e così gli ha proposto un contratto a tempo indeterminato. Ovviamente Hilal ha accettato con grande entusiasmo!
Oggi, a distanza di dieci anni e mezzo dalla sua fuga, è un pasticcere provetto conosciuto e apprezzato, a Roma. Hilal, ora, vuole solo realizzare due sogni: ottenere il passaporto del nostro Paese e partecipare ai programmi televisivi in cui i grandi chef si sfidano tra loro a colpi di ricette.
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