Salvatore Sedita, 34 anni, ha ucciso i genitori a colpi di mannaia a Racalmuto, in provincia di Agrigento. E, dopo l’avvertimento dei soccorsi e delle forze dell’ordine da parte della sorella, ha confessato la mattanza davanti al Gip.
Sebbene avesse reso dichiarazioni calzanti anche nell’immediatezza, dopo essere stato sottoposto a adeguate terapie nel reparto di psichiatria, ha raccontato nel dettaglio quanto commesso. Avrebbe ucciso i genitori per dei pregressi contrasti con gli stessi. Era infatti tornato a vivere con la famiglia di origine dopo la separazione. Rosa, 62 anni, e Giuseppe, 66, sono stati ritrovati abbracciati in una pozza di sangue. Trucidati a colpi di mannaia.
La madre, in passato, sarebbe già stata oggetto di un tentativo di defenestrazione da parte dell’uomo. Su richiesta del pubblico ministero e della difesa di Salvatore, in cura da anni per diverse problematiche psichiatriche, dopo la convalida del fermo, è stato ricoverato in una Rems. Vale a dire una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
La famiglia è per sua definizione contenitrice di affetti. Eppure, in casi come questo, si trasforma nel più atroce teatro di delitti.
Le ragioni che inducono un figlio ad uccidere uno o entrambi i genitori possono essere le più diverse. Motivo per il quale non è possibile inquadrarle in un unico scenario. Il rischio, infatti, sarebbe quello di banalizzare dinamiche complesse che invece impongono una declinazione al singolare. Quella dell’assassino.
Solitamente, ove non vi siano patologie psichiatriche conclamate, i figli uccidono prevalentemente per interessi economici, in forza di un’esigenza impellente di eliminare chi ostacola una relazione. Ma anche per ovviare ha irrisolvibili contrasti familiari. E sono nella totalità dei casi preceduti da un litigio violento.
In questo caso però, come accennato, chi si è macchiato del più terribile dei crimini sarebbe un soggetto psichiatrico in cura da anni e con uno storico clinico compromesso. Ciò spiegherebbe anche il perché del ricovero in una Rems.
Il che, forse, rende ancor più drammatico, ma al tempo stesso maggiormente evitabile, quanto successo. Anche se, per sua stessa ammissione, Salvatore avrebbe ucciso i genitori per una serie di conflitti irrisolti, una situazione familiare difficile nella quale il duplice omicidio gli è apparso come unica soluzione possibile.
I due coniugi potevano essere salvati. Considerando che Rosa e Giuseppe avevano chiesto aiuto agli assistenti sociali. Evidentemente per il vissuto di violenza all’interno di quelle mura domestiche.
L’arma utilizzata da Salvatore Sedita è una mannaia. Secondo l’autopsia i colpi inferti alla madre sarebbero 22. Il padre invece ne sarebbe stato attinto da 25.
“Ho colpito prima mia madre con la mannaia conservata in una borsa frigo in camera da letto. Gliela ho conficcata nel collo, ho continuato anche quando ho capito che erano morti”. Queste le parole agghiaccianti pronunciate di fronte al Gip dall’uomo. Quest’ultimo avrebbe poi spiegato che, nel momento in cui si è accorto che non respiravano più, li avrebbe colpiti ancora “per tranciargli le mani”. Una crudeltà agghiacciante.
Il modus operandi è quello che in gergo tecnico viene definito overkilling. Vale a dire il caso in cui l’assassino infligge un numero di ferite di gran lunga superiore al numero di quelle necessarie a causare la morte. L’espressione overkilling, quindi, descrive l’esistenza di un rapporto stretto tra l’aggressore e le sue vittime. Proprio come è accaduto nel caso di Salvatore che, per sua stessa ammissione, avrebbe dichiarato di fare uso di sostanze.
A Racalmuto si è manifestato lo stesso schema anche per quel che attiene la scena del crimine. Come accade nella stragrande maggioranza dei parricidi, la scena del delitto è stata la casa di famiglia. Come da copione, quindi, in condizioni di coabitazione genitore-figlio.
Anche la paura è un minimo comune denominatore in questi crimini. Paura avevano già avuto i coniugi Sedita, dopo il tentativo del figlio di lanciare la madre dal terrazzo. La stessa paura che avevano Laura e Peter Neumair, che avevano confidato ad alcuni parenti di aver nascosto tutti i coltelli della cucina per paura che il figlio Benno compisse un folle gesto.
Così come timore aveva Laura Ziliani, che aveva confidato ad un’amica di temere per la sua incolumità, e Rosina Carsetti che aveva chiamato un centro antiviolenza denunciando episodi di gravi maltrattamenti per mano del nipote Enea.
Tutte vittime accomunate dal medesimo destino. Essere uccise da un proprio famigliare. Vittime che potevano essere salvate.
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