Come molte delle attività umane eseguite senza limiti né criteri, anche l’agricoltura intensiva produce danni di natura ambientale, tanto a livello micro quanto su scala massima: lo sviluppo dell’agricoltura intensiva si ha tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Novanta del secolo scorso, quando a causa della sovrappopolazione è cresciuta contestualmente la necessità di sfamare circa 7 miliardi di persone, con una previsione per il 2050 di raggiungere i 9 miliardi. Grazie allo sviluppo di un’adeguata tecnologia, le tecniche di sfruttamento dei terreni si sono moltiplicate aumentando la produttività delle estensioni agricole, che possono immettere sui mercati prodotti ortofrutticoli a prezzi competitivi. L’altro lato della medaglia sono però gravissime conseguenze ecologiche quali deforestazione, desertificazione, utilizzo di pesticidi e fertilizzanti, inquinamento delle falde acquifere arrivando finanche ai temutissimi cambiamenti climatici, che a loro volta producono nefaste conseguenze sulle coltivazioni stesse, in una sorta di mefitico circolo vizioso.
L’agricoltura moderna si fa dunque industriale, contribuendo a modificare il clima con pratiche quali il drenaggio delle zone umide, lo sfruttamento del suolo mediante aratura profonda ed utilizzo di macchinari pesanti che rendono più fragile ed esposto agli agenti atmosferici estremi il terreno, e in ultimo la prassi di coltivare monocolture su larga scala, che danneggiano ulteriormente i campi. Non è un caso che proprio negli ultimi anni sono nate nuove forme di coltivazione più ecologiche che però tardano ad attecchire su larga scala proprio per la necessità di soddisfare i bisogni di una popolazione mondiale così ampia numericamente.
Agricoltura intensiva: elenco danni
La coltivazione di monocolture, ossia di una sola specie vegetale su un’intera porzione di territorio, è una delle ragioni che conducono ad un impoverimento della fertilità del suolo, agendo sui sali minerali in esso contenuti. Ma non è l’unico fattore: anche le arature di terreni con pendenze troppo elevate o eccessivamente insistenti in un’area possono ridurre lo strato di terreno coltivabile, favorendo i fenomeni di erosione da parte delle piogge e del vento che più facilmente trasportano lontano il terreno, mentre la pressione esercitata dalle macchine agricole sul suolo può generare fenomeni di compattazione del terreno che incide sulla capacità delle radici di assorbire acqua e sostanze nutritive. Da qui deriva il rischio desertificazione sempre più crescente sul pianeta, mentre contestualmente la corsa sfrenata a terreni coltivabili sta portando alla distruzione di ettari di foreste, fenomeno preoccupante specialmente in alcune aree sensibili, come ad esempio il sud-est asiatico.
Un capitolo a parte meritano poi l’uso di fertilizzanti, concimi chimici e fitofarmaci che possono inquinare il suolo mettendo a rischio anche la salute umana, come nel caso del controverso glifosato contenuto in noti pesticidi. L’impiego di queste sostanze può arrivare a contaminare le acque e a generare fenomeni di eutrofizzazione, ossia una crescita esponenziale delle alghe con conseguente diminuzione dell’ossigeno, causando la morte dei pesci.
Occorre poi ricordare che l’agricoltura praticata con tecniche intensive rappresenta la principale ragione del consumo di acqua, e che in ultimo può essere anche contribuire all’inquinamento atmosferico per le emissioni di ammoniaca derivanti dall’impiego di fertilizzanti azotati.
La situazione in Italia
L’Italia resta uno dei Paesi che maggiormente ha uno dei suoi punti di forza economici e culturali nel settore agricolo, con tante colture tradizionali e tipiche che rappresentano un vanto nazionale riconosciuto in tutto il mondo. Tuttavia ciò non vuol dire che non si ricorra anche da noi all’agricoltura intensiva, che viene praticata soprattutto in Puglia e nella Pianura Padana, tra i nostri territori maggiormente votati alla coltivazione dei campi, in particolare la Pianura Padana che sfrutta le risorse idriche del fiume Po per avere una costante irrigazione dei campi. In questa vasta area l’agricoltura rappresenta il cuore dell’economia tricolore, dove è concentrato il 35 per cento della produzione: se ciò produce alcune delle migliori eccellenze agroalimentari italiane, dall’altro lato non è immune all’impiego di tecniche di ogni tipo, comprese quelle di agricoltura intensiva che andrebbero limitati, come ad esempio l’uso di pesticidi, che vede il nostro Paese collocato ai primi posti in Europa. Inoltre queste grandi estensioni coltivabili sottraggono prezioso spazio a forme alternative di coltivazione come l’agricoltura biologica, che a dispetto della crescente richiesta del mercato, stenta a decollare in maniera definitiva a causa banalmente della carenza di terreni coltivabili.