Arrivano in Italia con le stimmate de guru della panchina. E poi crollano, incapaci di imparare la lingua e di fare meglio dei tecnici italiani. Frank De Boer è soltanto l’ultima vittima di una vera e propria strage che si perpetra da tempo nel nostro Paese del pallone: possiamo citare Menotti, Passarella, Tabarez, Terim, Carlos Bianchi, Luis Enrique, Benitez, Deschamps, Cuper e Garcia. Hanno resistito più o meno tempo, ma hanno in comune che alla fine sono stati cacciati da piazze e presidenti impazienti.
Menotti, un ‘Flaco’ alla Sampdoria
La Sampdoria è ancora abbastanza grande in quel periodo, lui nel 1978 ha addirittura vinto il Mondiale come commissario tecnico dell’Argentina. Si incontrano nel 1997, anno in cui è appena andato via Sven Goran Eriksson (che, invece, il segno lo ha lasciato eccome) e pure l’icona Roberto Mancini. Luis Cesar Menotti, ‘El Flaco’, ha carisma da vendere ed Enrico Mantovani vuole risollevare una Samp che pochi anni prima aveva sfiorato la vittoria della Coppa Campioni.
E’ lo stesso Flaco che consiglia, sul mercato, l’erede del Mancio. Tale Angel ‘Matute’ Morales. Dopo otto giornate, la Samp è sull’orlo della retrocessione. Via Menotti, che non tornerà più nel nostro Paese ad allenare. E Matute? Boh…
Tabarez, teorico e signore: troppo
Ancora un sudamericano, Oscar Washington Tabarez Silva. E’ preparatissimo sulle teoria del calcio, ha pure carisma e un discreto curriculum alle spalle (in Sudamerica). A metà anni ’90, è il Cagliari a portarlo in Italia e a conquistare un buon nono posto nel 1995/96. Il Milan decide di ingaggiarlo per succedere a Fabio Capello, nonostante Silvio Berlusconi sia contrario. Il primo dicembre, all’undicesima di A, arriva la sconfitta di Pescara (3-2) e l’esonero. Il nostro aveva raccolto 15 punti in 11 partite, perdendo la Supercoppa italiana. Il Cavaliere era stufo e riprovò con Arrigo Sacchi, ma quel Diavolo arrivò 11esimo.
Tabarez viene ricordato come un signore e, dalle sue parti, è tuttora considerato un Maestro del gioco del calcio. Peccato che il Milan sia stata stata la sua Caporetto.
Carlos Bianchi, l’incompreso
Altra grande, altro presunto guru. E’ Carlos Bianchi, che si porta dietro vittorie di campionato, di Coppa Libertadores, di Coppa Intercontinentale (contro il Milan) con il Velez Sarsfield. Franco Sensi, nell’estate del 1996, lo ingaggia, pensando di aver trovato l’America. Quella Roma, però, è disastrosa: l’argentino resiste fino ad aprile, ma dopo lo 0-2 di Cagliari salta. I giallorossi si salveranno per pochi punti quell’anno.
Tornato in Argentina, nel 1998 Bianchi tornerà a vincere con il Boca Juniors (tre campionati, due Libertadores, una Coppa Intercontinentale nel 2000 contro il Real Madrid). Non era scarso, insomma, ma a Roma non fu capito. Dai giocatori in primis. Forse serviva più pazienza?
Daniel Passarella e un Parma da dimenticare
In Italia, e non solo, Daniel Passarella era stato un libero di quelli davvero forti. Quando torna nel nostro Paese da allenatore, però, è tutta un’altra storia. Calisto Tanzi, nel 2001, lo chiama a Parma. Con il River Plate, l’ex giocatore aveva vinto titoli nazionali come se piovesse ed era stato pure ct dell’Argentina, discusso per il gioco poco spettacolare. Mai avrebbe pensato, però, di finire nelle sabbie mobili con il Parma.
Tra il 6 novembre e il 18 dicembre, perse cinque partite su cinque. Facendo peggio del suo predecessore, Renzo Ulivieri. E pure di Pietro Gedone Carmignani, che avrebbe rilevato la squadra dopo l’esonero dell’argentino, portandola alla vittoria della Coppa Italia nel maggio successivo (contro la Juve di Marcello Lippi).
Benitez, dalle stelle inglesi alle stalle italiane
Nel 2003 aveva vinto una Champions League contro il Milan, partendo dallo 0-3, con il suo Liverpool. E pure due titoli spagnoli e una Coppa Uefa con il Valencia. Insomma, pedigree niente male. Quella vittoria contro i rossoneri, poi, lo rendeva perfetto e già idolo agli occhi dei tifosi dell’Inter. Seppure come successore di Josè Mourinho. Lo spogliatoio nerazzurro ha troppe prime donne e Rafael Benitez non le sa domare: vince la Coppa Intercontinentale (facilmente), ma salta a Natale.
Ci riprova il Napoli di Aurelio De Laurentiis. Vince una Coppa Italia, ottiene un terzo posto nelle prime due stagioni (2013 e 2014). Ma il matrimonio si spezza. Il presidente voleva ben altro con la rosa a disposizione e visto il curriculum.
Terim, l’Imperatore senza impero
In Turchia è l’Imperatore, in Italia non troverà nessun impero. Fatih Terim arriva con queste premesse (e diversi campionati vinti con il Galatasaray) a guidare la Fiorentina, fino alla 20esima giornata, quando scatta puntuale l’esonero. Solo l’inizio era stato positivo, ma tanto era bastato a Silvio Berlusconi per innamorarsene. Così, il Milan lo porta a casa nella stagione 2001-2002. Si salva solo il rapporto con i tifosi, ma il gioco non c’è. Dopo dieci giornate, il benservito è quasi naturale. Al posto dell’Imperatore, arriverà uno che Re lo sarà davvero: Carlo Ancelotti.
Didier Deschamps, la B non basta
La Juve del post-Calciopoli e della serie B si affida a una vecchia conoscenza, il francese Didier Deschamps, per tornare grande. L’ex centrocampista viene scelto per aver portato il Monaco fino alla finale di Champions League pochi anni prima. I bianconeri sono armata illegale per la cadetteria, il gioco a volte non decolla, ma la superiorità è troppa. Alla dirigenza juventina, però, Didier non piace troppo per il suo carattere ruvido. E pure lo spogliatoio storce un po’ il naso. Al punto che Deschamps non conclude neanche la stagione, già vinta. Oggi qualcuno lo rimpiange, soprattutto viste le stagioni che la Juve passerà con i vari Ferrara e Delneri.
Voeller non vola
Idolo della Roma e dei tifosi che gli dedicarono il coro ‘tedesco, vola’, Rudy Voeller ci prova pure sulla panchina giallorossa nell’agosto del 2004. Due anni prima, del resto, l’attaccante aveva portato la Germania fino alla finale dei Mondiali, poi persa con il Brasile di Ronaldo. Voeller arriva perché Cesare Prandelli, scelto dai Sensi, aveva lasciato per un grave lutto familiare. Insomma, la squadra non è stata costruita per lui e si vede. Il 26 settembre, dopo due sconfitte, un pareggio e una vittoria, Rudy lascia. Torna al Bayer Leverlkusen, prima come allenatore, poi come dirigente.
Luis Enrique, l’ironia di Roma
Ancora la Roma a ‘bruciare’ un tecnico giovane, lo spagnolo Luis Enrique. Arriva dalle giovanili del Barcellona per portare idee nuove, come seguace di Pep Guardiola. Nella stagione 2011-2012 si porta il talentino Bojan e promette spettacolo. Arrivano pure assistenti e preparatori, voluti proprio dal catalano. Lo spogliatoio, però, non lo sopporta. La Roma chiude settima, la mentalità vincente non ha attecchito. Niente Coppe Europee (per la prima volta dal 1997).
Ironizzano i tifosi della Roma (‘demential coach’), Luis Enrique torna mestamente in Spagna. Prima il Celta Vigo, poi il Barcellona vero. Dove iniziano i successi a ripetizione. Che stanno continuando.
Hector Cuper e il 5 maggio
L’Italia lo ricorderà sempre e soprattutto per quel 5 maggio 2002. Hector Cuper sfiora e nello stesso tempo perde in modo innaturale uno scudetto che l’Inter non vinceva dai tempi di Giovanni Trapattoni. Soprannominato ‘Hombre Vertical’, all’ombra della Madunina ci resterà tre anni. Quasi un record. Sì, perché nonostante la delusione dell’Olimpico di Roma, Massimo Moratti resisterà alla piazza, confermandolo. Pure dopo il secondo posto dell’anno successivo e la sconfitta nelle semifinali di Champions contro il Milan (con due pareggi). E il terzo anno, l’Inter vincerà sul campo dell’Arsenal (storica impresa per una squadra italiana). Eppure, l’ottavo posto in campionato non gli risparmierà l’esonero un mese dopo, a tre mesi dalla naturale scadenza del contratto.
Per i tifosi dell’Inter, sarà ricordato pure per l’incompatibilità di carattere con il Fenomeno Ronaldo, che scapperà a Madrid proprio perché il presidente Moratti non lo accontenterà, cacciando l’allenatore argentino.
Rudi Garcia, quanti rimpianti
Qual è stata la colpa del francese Rudi Garcia, che la Roma chiama per tornare a vincere? Aver incontrato sulla sua strada una Juventus stellare il primo anno (102 punti). Eppure, negli occhi dei tifosi capitolini, resta il filotto di 10 partite consecutive vinte all’inizio della prima stagione E gli 85 punti finali in classifica, nuovo record per il club. Secondo posto nella stagione successiva, in cui però cominciano ad arrivare le prime critiche.
Il 13 gennaio del 2016, puntuale come un orologio svizzero, arriva l’esonero. Qualcuno dice che sia stato deciso dai leader dello spogliatoio più che dalla proprietà americana. Lascia con 61 vittorie, 35 pareggi e 22 sconfitte. Forse, qualcuno, lo rimpiange sul Tevere.
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