Nell’ultimo periodo è tornato di grande attualità il tema del debito pubblico italiano. Gli analisti come sempre si soffermano ad analizzare le varianti economiche del debito, ma quasi mai si soffermano a spiegare la differenza tra i diversi termini. Con il risultato che, a volte, i comuni cittadini fanno confusione. Gli imputati principali in questo discorso sono il debito pubblico e il deficit pubblico, simili nella forma ma del tutto diversi nella sostanza, nelle cause e nelle conseguenze. Cerchiamo di capire, allora, qual è la differenza tra i due termini.
La differenza si può capire meglio anche considerando le uscite e le entrate di uno Stato. Questi due elementi sono soggetti a diverse variabili, fra le quali occupa un ruolo essenziale l’evasione fiscale, che può essere considerata una delle cause principali della diminuzione delle entrate. Il problema si verifica quando non c’è un equilibrio fondamentale tra entrate e uscite.
Il deficit di bilancio
Partiamo dal deficit di bilancio, conosciuto anche come disavanzo statale. In termini tecnici si definisce deficit pubblico una eccedenza delle uscite sulle entrate in un determinato periodo di tempo (di regola l’anno solare o fiscale). In poche parole si tratta del totale della spesa sostenuta dallo Stato ma non coperta dalle entrate, il che comporta un disequilibrio dei conti statali perché, in quel dato periodo, le uscite superano le entrate. Le cause del deficit sono due, di natura opposta: un aumento delle uscite o una diminuzione delle entrate.
Si ha un aumento delle uscite quando il governo decide di aumentare la spesa pubblica nel breve periodo per ottenere nel lungo periodo il rilancio di consumi e investimenti. Non solo, perché le uscite aumentano anche quando il governo decide di abbassare la pressione fiscale, misura che di norma riduce di riflesso il Prodotto interno lordo, perché porta a una diminuzione delle entrate (la cui causa principale resta sempre e comunque l’evasione fiscale). Quando non c’è equilibrio tra entrate e uscite si rischia un disavanzo che, per le regole dell’Unione Europea, non può superare il 3% nel rapporto deficit/Pil, pena l’avvio della procedura di controllo per deficit eccessivo (che l’Italia ha provato per lungo tempo sulla sua pelle).
Una buona politica economica permetterebbe al paese di turno di riuscire ad andare in pari, almeno, con quelle che sono le spese poiché ci sarebbe un giusto equilibrio tra la spesa pubblica certa, dovuta a pensioni, sussidi, acquisti e le altre voci di bilancio, e le imposte incassate dallo Stato, dirette ed indirette. A questo andrebbero poi ad aggiungersi le spese improvvise come in caso di guerre o catastrofi, dall’incapacità del governo di turno di mantenere un basso profilo per i costi della politica o da incentivazioni della politica economica in sostegno alla domanda di acquisto. Ma una buona struttura riuscirebbe in una pianificazione immediata anche per queste situazioni limite, partendo con una emissione di titoli statali volta a rifinanziare le proprie casse.
Il debito pubblico
E qui entra in scena il debito pubblico: questo infatti rappresenta la totalità dei debiti che lo Stato ha nei confronti di altri soggetti, pubblici o privati, che hanno, ad esempio, sottoscritto i titoli statali in quel momento emessi proprio per coprire il deficit. La parte più difficile della situazione è che tale debito deve essere costantemente monitorato per evitare che aumenti e che si ricada nel rischio insolvenza, come è stato per l’Argentina anni fa. Un buon rapporto tra debito e Pil di uno Stato rappresenta poi il tanto noto, ormai, pareggio di bilancio, quando cioè il rapporto tra debito e Pil è costante e permette di studiare casistiche di imposizione fiscale che permettano di annullare col tempo la totalità del debito. Una sorta di utopia quasi impossibile da raggiungere, soprattutto in un’Europa flagellata dalla crisi economica.
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