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Deforestazione, Claude Martin: “Ci stiamo mangiando le foreste tropicali” [INTERVISTA]

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Leggendo l’ultimo rapporto del Club di Roma “On the Edge. The State and Fate of the World’s Tropical Rainforests”, scritto da Claude Martin, naturalista ed ecologo e direttore del WWF Internazionale dal 1993 al 2005, dobbiamo partire da un presupposto fondamentale: l’uomo è l’animale più distruttivo presente sulla faccia della Terra. Dei 16 milioni di chilometri quadrati di foreste tropicali che ricoprivano il nostro Pianeta, oggi ne rimangono intatte appena 7 milioni di chilometri quadrati. Qual è lo stato delle cose del polmone verde terrestre e quale il suo futuro? «Nonostante la perdita di circa il 50% delle foreste tropicali originarie, la restante metà di questa superficie è ancora lì e la sfida è proteggerla– ci spiega Claude Martin – Uno dei fattori che incide maggiormente nella deforestazione è sicuramente l’agricoltura a fini commerciali, ad esempio con la sostituzione delle foreste con le piantagioni di olio di palma o di soia».

Alla base di questa situazione non c’è solo quindi l’urbanizzazione ma uno stile di vita che non può più essere sostenibile: «Stiamo di fatto mangiando le foreste tropicali visto che queste coltivazioni vengono usate spesso per l’industria del cibo – continua lo studioso – Non possiamo dimenticarci poi dell’impatto del cambiamento climatico, fattore sempre più determinante per la salute delle foreste tropicali. Periodi prolungati di siccità rendono queste terre sempre più soggette a incendi e a cambiamenti fisiologici». Rincorsa ad un’agricoltura invasiva e cambiamenti climatici sono quindi i due fattori che dobbiamo tenere d’occhio nei prossimi decenni se vogliamo mantenere intatta la biodiversità di questo patrimonio terrestre.

Se ne parla molto in questo ultimo periodo, finalmente anche in Italia, e sembra essere davvero uno dei fattori dove intervenire. Stiamo parlando delle piantagioni di olio di palma: «Sono sicuramente una delle principali cause della deforestazione – prosegue Martin – L’olio di palma è coltivato su vastissime zone che si concentrano principalmente nel sud est asiatico e adesso nuovamente nel continente africano, territorio da cui proveniva inizialmente. Quest’olio viene utilizzato principalmente nell’industria del cibo e in quella manifatturiera, ma anche in molto di quello che chiamiamo biocarburante. Stiamo distruggendo la biodiversità anche per poter utilizzare le nostre auto».

Nel rapporto si mette in luce la difficoltà della classificazione stessa dell’area, a causa di dati mancanti o riconducibili a standard di classificazione diversa. Anche questo ha reso complicata la realizzazione di un quadro realistico della situazione fino ai giorni nostri e all’avvento di tecnologie avanzate che permettessero un grado di precisione prima impensabile: «In passato ci fu molta confusione sullo stesso concetto di foresta tropicale, era difficile avere un’idea precisa dell’area perché spesso venivano usate classificazioni diverse – continua Martin – Le statistiche di una volta ormai sono state superate da una tecnologia satellitare molto avanzata che permette di avere delle mappe multiple della stessa area, seguendo pixel dopo pixel quello che sta succedendo in quella precisa zona. Questa rivoluzione tecnologica permette una raccolta molto accurata dei dati e un maggiore controllo del fenomeno della deforestazione nelle zone più a rischio».

Il trend generale prevede un decremento del tasso di deforestazione ma esistono differenze regionali in questi mutamenti e dipendono soprattutto da quattro fattori: l’impatto della crescita della popolazione (le stime delle Nazioni Unite parlano di 9,6 miliardi di persone sul nostro pianeta nel 2050, ndr), i cambiamenti climatici, le pressioni commerciali e le capacità delle governance di rendere questo sviluppo sostenibile. Andando per un attimo nel dettaglio, si possono analizzare tre diversi trend nelle zone che comprendono foreste tropicali. In America Latina si combatte, soprattutto in Brasile, contro il taglio illegale di legname. Il trend generico è in diminuzione ma bisogna fare i conti con la siccità, soprattutto della zona meridionale e con l’aumento dello sfruttamento per gli allevamenti di bestiame e di risorse dell’area andina. La zona del sud est asiatico mantiene il suo triste primato del più alto tasso di deforestazione del pianeta, trainato dall’Indonesia dove entro il 2050, al di fuori delle aree protette, le foreste potrebbero non esistere più a causa del fortissimo sfruttamento per le piantagioni di olio di palma. In Africa esiste l’altissimo rischio di un cambio di tendenza: da regione con il minor tasso di deforestazione potrebbe diventare a breve, a causa delle aree agricole sempre più sfruttate e all’aumento della pratica del taglia e brucia (pratica agricola che prevede l’incendio doloso di zone per praticare successivamente agricoltura intensiva fino alla diminuzione della fertilità del suolo fino al successivo raccolto, ndr), una delle più imprevedibili e drammatiche situazioni di deforestazione.

Cosa può e deve essere fatto per preservare questo incredibile tesoro naturale? «Nel mio ultimo libro ho raccolto 17 raccomandazioni per conservare e preservare questo patrimonio – conclude Martin – Sono molte le decisioni che devono essere prese. In primis è importantissimo tenere il cibo e le sue piantagioni fuori dalla foresta e combattere il cambiamento climatico con interventi mirati. Entrando nel microcosmo quotidiano, il consumatore con le sue scelte d’acquisto può incidere positivamente. Consumatori consapevoli del loro impatto sul pianeta sono anche cittadini che decidono di compiere una scelta d’acquisto differente, con prodotti che rispettino ad esempio gli Fsc Standards o gli standard sostenibili per le piantagioni di olio di palma. Può sembrare insufficiente ma è sicuramente la strada giusta». Tra le 17 raccomandazioni troviamo anche l’espansione delle aree protette di foresta tropicale e la promozione della riforestazione unito alla gestione sostenibile delle foreste, sostenendo standard che non possono ovviamente essere applicati con costanza senza la cooperazione internazionale e l’impegno di tutti i governi e degli stake holder per salvare il nostro splendido pianeta.

Simona Buscaglia

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