Dopo 29 anni arriva una svolta sull’omicidio di Lidia Macchi la ragazza di 21 anni uccisa da 27 coltellate a Cittiglio il 5 gennaio del 1987. Un delitto per cui non è mai stata portata alla luce la verità e per cui rimane in carcere Stefano Binda arrestato il 15 gennaio scorso. L’uomo di 48 anni era un amico di Lidia, i due avevano aderito insieme al movimento cattolico di Comunione e Liberazione. La salma di Lidia è stata riesumata nelle scorse settimane per rilevare la presenza del dna di Stefano Binda. Verrà esaminato anche un campione dell’imene della ragazza, sul quale verrà effettuata un’analisi stratigrafica in cerca di tracce biologiche.
La soluzione del caso potrebbe dunque essere nel corpo di Lidia Macchi, le analisi sono affidate ad un team composto da a un’anatomopatologa, un genetista e un tossicologo. Durante l’udienza dell’incidente probatorio di lunedì al tribunale di Varese, l’anatomopatologa Cristina Cattaneo ha spiegato che su un vetrino è contenuto un frammento dell’imene della ragazza che, la notte dell’omicidio, ha avuto il suo primo rapporto sessuale. Un frammento con le tracce di liquido seminale rintracciato a Pavia e che fu già analizzato nel 2015 ma su cui non furono trovate tracce utili al caso. La dottoressa Cattaneo, però propone un nuovo tipo di esame che prevede la riduzione del frammento in tante piccole parti. L’analisi si concentrerà anche sui capelli, sui denti e sulle unghie di Lidia. Si apre dunque una nuova speranza per la risoluzione del caso.