Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia del governo di Giorgia Meloni (in quota Fratelli d’Italia), è finito nel tritacarne politico per aver rivelato, secondo le opposizioni, dei documenti riservati al suo amico e deputato, sempre di FdI, Giovanni Donzelli che poi li ha usati per colpire il Partito democratico in un suo intervento alla Camera. È stato lui stesso ad ammetterlo martedì sera, e ieri ha detto che, come il vicepresidente del Copasir, non ha nessuna intenzione di dimettersi. Non c’è stata una retromarcia, è vero, ma da quello che è trapelato oggi se il Guardasigilli, Carlo Nordio, glielo chiedesse lo farebbe.
Nonostante questo, però, il sottosegretario meloniano ha anche ribadito che sui documenti, che provenivano dal Dap e riguardavano gli incontri avuti dall’anarchico Alfredo Cospito, in regime di 41 bis e, per questo, in sciopero della fame da più di cento giorni, non era coperti da nessun segreto.
Delmastro si potrebbe dimettere ma solo se fosse Nordio a chiederglielo
Mentre Giorgia Meloni, presidentessa del Consiglio, ma soprattutto leader di Fratelli d’Italia non ha accennato, neanche ieri, a una parola sulla bagarre scoppiata in aula per le parole di Giovanni Donzelli contro il Partito democratico, che poi gli sono tornate indietro come un boomerang perché hanno portato le opposizioni, nello specifico Angelo Bonelli, a presentare un esposto alla Procura di Roma, e tutte quante a chiederne le dimissioni, Andrea Delmastro Delle Vedove, sottosegretario alla Giustizia, sempre in quota meloniana, finito nel calderone assieme al suo amico e coinquilino, non ha arretrato di un passo.
O meglio, non lo ha fatto ora, ma lo farà se sarà il suo numero uno, il Guardasigilli, Carlo Nordio, a chiederglielo. “Se venisse meno la fiducia di sua moglie, lei ci resterebbe in casa? Se venisse dimostrato che quegli atti sono riservati e classificati, in quel caso avreste ragione voi a chiedere le dimissioni, ma non è così“, ha detto a Repubblica uno dei fedelissimi della premier.
Ed è su questo che spingono le opposizioni: che gli atti che hanno consentito a Donzelli di fare quell’intervento con il preciso scopo di colpire i deputati dem, affermando che sono andati a trovare in carcere Alfredo Cospito, l’anarchico che sta portando avanti la battaglia di farsi revocare il regime di 41 bis con uno sciopero della fame che va avanti da cento giorni, esattamente come alcuni esponenti mafiosi, fossero coperti da segreto d’ufficio.
Ieri, Delmastro non era presente in aula durante l’informativa di Nordio ai due rami del Parlamento perché aveva da fare. E a domanda diretta sul fatto che non sia stato difeso dal ministro, ha risposto che “direbbe lo stesso delle carte sul trasferimento di Cospito al carcere di Opera, lui è fatto così“. Perché no, “non c’è nulla di classificato, altrimenti non ne avrei parlato, nemmeno a un amico come Donzelli“. Un Donzelli che, per altro, rimarrà alla vicepresidenza del Copasir e anche in casa con lui.
Perché i documenti, nonostante ciò che dicono i due meloniani, dovevano rimanere segreti
Se i documenti rivelati dal Delmastro a Donzelli fossero effettivamente coperti da segreto, abbiamo detto, indagherà la Procura di Roma, ma che fossero sensibili non c’è alcun dubbio. Di solito, infatti, gli stralci delle conversazioni che i detenuti in regime di carcere duro hanno con altre persone vengono trascritte dagli operatori del Gruppo operativo mobile (Gom) e finiscono alla Direzione nazionale antimafia oltre che alla Distrettuale competente.
Solo stavolta, e perché lo ha richiesto Nordio, impegnato a capire se ci sono ancora delle “rilevanze”, come le ha chiamate ieri, affinché Cospito resti ancora al 41 bis, sono state inviate per email anche al dicastero di via Arenula dal Dap e sono finite direttamente sul tavolo del capo di gabinetto del Guardasigilli e del sottosegretario, che ha anche la delega al Dap, appunto.
In quei documenti, in pratica, potrebbero esserci notizie di reato che, nelle mani giuste, quindi non quelle del deputato di Fratelli d’Italia che li ha usati per colpire Debora Serracchiani, Andrea Orlando, Walter Verini e Silvio Lai, servono a prendere delle decisioni piuttosto importanti. Anche sull’anarchico, specialmente su di lui. E a prescindere dai suoi colloqui con i deputati, che sono stati fatti, per altro, nel rispetto delle loro funzioni, come hanno richiamato sia loro, sia lo stesso Nordio.
Certo, è diverso quando si viene a sapere che, nel cortiletto del carcere sassarese, Francesco Presta, il boss della ‘ndrangheta, lo esortava a continuare la sua protesta per l’abolizione del 41 bis, dicendogli che doveva mantenere l’andamento e che “sarebbe importante che la questione arrivasse a livello europeo e magari ci levassero l’ergastolo ostativo” o quando Francesco Di Maio, uomo dei Casalesi, gli diceva che “pezzetto dopo pezzetto, si arriverà al risultato“.