Oltre cento milioni di euro sborsati dallo Stato per pagare i debiti dei Democratici di Sinistra, a partire da quelli contratti per l’Unità. É quanto racconta Sergio Rizzo, sul Corriere della Sera, in merito ai 107 milioni di euro versati da Roma alle banche creditrici del quotidiano degli allora DS, tornato in edicola da pochi mesi dopo la chiusura per fallimento. Merito, ricorda il giornalista, di una legge fatta approvare nel 1998 per garantire l’estensione della garanzia di Stato ai debiti che i partiti contraggono a favore degli organi di partito, cioè i giornali. Quello che Report, la trasmissione di Milena Gabanelli, aveva previsto a maggio, ora trova conclusione: a pagare quei debiti alla fine è stato lo Stato (cioè tutti noi).
La notizia era già nell’aria da tempo. A luglio 2015 fu il Messaggero a rilanciarla, quando il decreto ingiuntivo presentato a maggio 2004 dalle banche per un debito di 176 milioni, divenne esecutivo. Il governo ha incontrato le parti per ratificare l’accordo: l’esposizione è scesa ora a 107 milioni di euro dopo i pignoramenti effettuati nel 2010 a carico del patrimonio immobiliare che era ancora rimasto ai DS. Lo Stato si è dunque accollato i debiti dell’ex partito e ha staccato l’assegno che non è stato ancora incassato perché accolto con “riserva”, cioè, come spiega Rizzo, in attesa del giudizio d’appello della magistratura.
Come è stato possibile che il governo centrale saldasse debiti di un partito che non esiste più? Grazie a una legge del 1998 che estende la garanzia dello Stato sui debiti anche a quelli contratti dai partiti per i loro giornali ufficiali. È proprio quello che è successo con l’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci che, dal PCI, ha seguito l’evoluzione del partito, passando quindi ai DS e infine al PD.
Così, i Democratici di Sinistra si sono accollati i debiti del loro giornale che ammontavano a 450 milioni di euro. Ugo Sposetti, tesoriere diessino e oggi senatore dem, si mise al lavoro per ripianarli, aiutato anche da leggi quasi “su misura”, come quella relativa al pagamento dei contributi elettorali anche in caso di fine anticipata della legislatura.
Fu quello che accadde nel 2008: i DS si unirono alla Margherita per dar vita al PD, ma la nuova formazione politica era cosa diversa a livello economico e finanziario e i due ex partiti per tre anni riuscirono a incamerare fondi statali. Non solo. Sempre Sposetti decise di dividere l’enorme patrimonio immobiliare diessino in 57 fondazioni indipendenti dal partito centrale: quando arrivò lo scioglimento, le fondazioni permisero il mantenimento di palazzi e strutture. Rizzo ricorda le feroci polemiche che ci furono con l’ex segretario Walter Veltroni e come le sue dimissioni fecero scemare il tutto.
Così, siamo arrivati al 2015. Quando le banche bussano per chiedere il pagamento dei debiti, è lo Stato che deve rispondere. Il partito non esiste più, ma qualcuno deve pur pagare. Palazzo Chighi ha iniziato a incamerare parte dei proventi dei pignoramenti, il debito è sceso, ma l’assegno da 107 milioni di euro alla fine è stato staccato. “Se m’avessero dato un incarico, una società mi avrebbe dato tanti soldi per fare questo lavoro”, così Sposetti rispose al giornalista di Report in merito al suo lavoro da tesoriere DS. Alla fine, a pagare sono sempre i soliti: noi.
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