Il Ministro degli Esteri, Luigi di Maio, intervenuto ieri sera in una trasmissione di approfondimento di Rai Uno, ha spiegato chiaramente, che il Movimento 5 Stelle programmava da mesi la ‘caduta’ di Mario Draghi come premier.
Il presidente Sergio Mattarella ha rifiutato le dimissioni del presidente del Consiglio dei ministri e “lo ha invitato a venire in parlamento perché si faccia un bilancio della situazione” creata dalla non partecipazione del Movimento 5 Stelle, membro della sua coalizione, a un voto di fiducia al Senato.
Il Presidente della Repubblica non ha accettato le dimissioni del Presidente del Consiglio e lo ha invitato a presentarsi in parlamento (…) affinché si potesse fare un bilancio della situazione”, ha replicato in serata la presidenza della Repubblica. Dopo giorni di minacce verbali e mediazioni infruttuose, il leader del Movimento 5 Stelle aveva pronunciato la rottura con la maggioranza, che dal febbraio 2021 aveva legato in una sorta di “governo di unità nazionale” quasi tutte le forze politiche del Paese, con la notevole eccezione del partito nazionalista Fratelli d’Italia.
Ierì, mentre il Senato votava un piano di aiuti da 23 miliardi a famiglie e imprese, a cui era allegato il voto di fiducia al governo, i senatori Cinque Stelle hanno lasciato l’emiciclo per non partecipare al voto di fiducia richiesto dall’esecutivo. Se la fiducia è stata comunque votata con 172 voti, la larga maggioranza su cui Mario Draghi aveva appoggiato il suo governo non c’è più.
La Borsa di Milano ha perso fino al 4%. E lo spread di rendimento a 10 anni con il Bund tedesco è salito a 210 punti, segno di preoccupazione del mercato per il ritorno dell’instabilità politica in Italia, mentre il Paese è alle prese con una situazione di crisi. La grande complessità di gestire diverse crisi, tra cui quella legato all’aumento dei prezzi dell’energia. E deve mettere in piedi nei prossimi anni il gigantesco piano di investimenti da quasi 200 miliardi di euro finanziati in parte dall’Europa.
All’origine della crisi politica, un pretesto, l’introduzione nel piano degli aiuti di una norma che consenta la realizzazione di un inceneritore di rifiuti a Roma, progetto contro il quale il M5S si batte da mesi, giudicandolo costoso, inquinante e inefficiente . “Il M5S ha sostenuto questo governo sin dalla sua nascita con i suoi due pilastri della transizione ecologica e della giustizia sociale”, ha giustificato giovedì Giuseppe Conte, che non è senatore.
“Se poi creiamo forzature e ricatti con cui le regole contro la transizione ecologica entrino in un decreto che non c’entra, per niente al mondo daremo i nostri voti.”. L’altro ieri, però, Giuseppe Conte non sembrava disposto a far cadere il governo. Per pesare di più all’interno della maggioranza, aveva trasmesso una settimana fa a Mario Draghi una lista in nove punti delle sue condizioni affinché il movimento rimanga in maggioranza, compresa la fissazione di un salario minimo (che in Italia non c’è), e una serie di misure a favore delle famiglie più povere.
Sperava di vincere la sua causa su ogni punto e di ottenere piccole vittorie per affermare la sua legittimità di fronte ai suoi parlamentari e agli ultimi elettori dei Cinque Stelle. Il suo gesto di rottura è quindi ritenuto incomprensibile in un momento in cui il governo sta approvando un massiccio piano di aiuti a favore di famiglie e imprese, e quando si appresta ad adottare un salario minimo e una politica dei redditi a beneficio dei lavoratori poveri.
Se pensava di poter riprendere il controllo della situazione, ed evitare la caduta del governo in extremis, Giuseppe Conte sembra essere finito per essere superato dalla sua base più radicale. Questo passo falso si spiega con il tentativo disperato di Giuseppe Conte di portare alle urne il Movimento 5 stelle: eletto la prima forza politica in Parlamento nel 2018, con il 34% dei voti, il movimento, che ha tradito uno dopo l’altro tutta la sua originaria lotte, da allora ha subito una regolare erosione della sua base elettorale, fino ad oggi non superando dall’11 al 12% delle intenzioni di voto per le prossime elezioni legislative.
Se ogni scrutinio locale si rivela un passo in più verso l’estinzione, in Parlamento la sua base di eletti si è notevolmente ridotta con le numerose deviazioni verso altri gruppi parlamentari e, più recentemente, dopo la scissione degli eletti che dietro il ministro degli Esteri Affari, Luigi Di Maio, ha lasciato il movimento per formare il gruppo Ipf, per Insieme per Il Futuro.
“ Sono mesi che i vertici Cinque Stelle pianificavano l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi”, ha spiegato ieri Luigi Di Maio. Contavano su nove mesi di campagna elettorale per salire alle urne, ma così hanno condannato il Paese a cadere nel baratro economico e sociale. » Mario Draghi, che tuttavia ha ancora la maggioranza nel numero degli eletti in entrambe le Camere, ritiene di non avere più la larga maggioranza su cui si basava questo governo.
Due giorni prima aveva spiegato in conferenza stampa che senza il Movimento 5 Stelle il governo non potrebbe durare. Ma che in ogni caso non si trattava più per lui di guidare un governo sotto il ricatto permanente dei componenti della maggioranza. L’importante per lui è saper agire e non durare. Così il presidente del Consiglio salì al Quirinale poco dopo lo spoglio dei voti dei senatori, come aveva promesso. Dopo quasi un’ora di colloqui con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la sua decisione è stata presa.
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