La Cassazione si è espressa chiaramente verso un uomo che ha detto ‘Lesbica’ a una collega, parlando di licenziamento.
La motivazione è molto semplice, qualsiasi scelta di orientamento sessuale merita di essere rispettata e in realtà è proprio quello per cui la comunità LGBT si batte oggi. Come andrà a finire per l’uomo? Perderà definitivamente il suo posto di lavoro o riuscirà a mantenerlo fra le mille polemiche che si stanno scatenando?
La vicenda ha luogo in Emilia Romagna. Qui la società che si occupa del trasporto pubblico è la Tper ma oggi questa sigla arriva alle pagine di cronaca per una vicenda spiacevole.
Un autista è stato accusato tramite ricorso dell’azienda, di aver detto ‘Lesbica’ a una sua collega. La dinamica è molto semplice, sebbene non sia stato detto forse con cattiveria ma solo per semplice curiosità, il contesto è stato giudicato comunque offensivo nei confronti della donna che da poco aveva partorito.
Rivolgendosi a lei mentre si trovavano a una fermata dell’autobus, le ha chiesto come era possibile che fosse rimasta incinta dal momento che è lesbica.
Il suo fare irrisorio aveva indispettito la donna che subito ha denunciato tutto all’azienda datrice di lavoro che, a sua volta ha riferito all’autista, Michele, che il suo comportamento era stato molto grave e per questo sarebbero stati presi dei provvedimenti.
In particolare la sua condotta è stata gravemente lesiva dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza. Michele quindi era stato licenziato ma i giudici della Corte di Appello di Bologna avevano ritenuto eccessivo questo gesto e così l’uomo ha ricevuto dalla Tper 20 mensilità quando in realtà non doveva essere corrisposta.
Ci sono pareri molto contrastanti in merito a questa vicenda accaduta nel 2020, poiché sebbene i giudici abbiano espresso la loro perplessità nei confronti di questo licenziamento senza preavviso e senza retribuzione, la Cassazione non la pensa così.
Anche se l’atto viene giudicato da molti con leggerezza, il Codice della Pari opportunità fra uomo e donna, considera come discriminazioni anche le molestie intese come comportamenti indesiderati che vengono messi in atto per ragioni connesse al sesso.
La domanda di Michele ha violato la dignità della lavoratrice sua collega creando un clima per lei umiliante. Questo il riassunto dell’intera storia, quindi la Cassazione ha ordinato ai giudici di verificare attentamente la sussistenza della giusta causa di licenziamento.
Sappiamo che poco dopo i fatti l’uomo si è scusato con la sua collega e di certo non pensava di scatenare un caos simile e di venire addirittura allontanato dall’azienda in cui per anni ha lavorato senza essere il protagonista di altri fatti simili.
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