Sempre più spesso la cronaca ci racconta di fatti che sfociano nel reato di diffamazione su Facebook o più in generale a mezzo internet. Insulti, minacce, frasi oscene, video e foto sfociano in un reato a tutti gli effetti, quello della diffamazione, previsto dall’art 595 del codice penale e punito con la reclusione fino a un anno. Troppo spesso, credendosi al riparo davanti a uno schermo del pc, c’è chi si lascia andare a insulti, parolacce, anche minacce lesive della dignità e dell’onore personale, fattori che sono tutelati e garantiti dall’orientamento giuridico. Scrivere oscenità e insulti sui social network, postare frasi diffamatorie o, nei casi più gravi, arrivare alle minacce, è un reato a tutti gli effetti. L’anonimato dietro cui spesso ci si nasconde o la lontananza fisica non sono difese: al contrario possono diventare aggravanti.
I casi di diffamazione su Facebook o altri social network come Twitter, nonché a mezzo internet (tramite email, post su blog e altro), stanno aumentando con il passare del tempo. L’uso e l’accesso al web si è moltiplicato, garantendo a chiunque abbia un computer e una connessione l’accesso a un universo infinito. Su internet ci si informa, si intrattengono amicizie, si scambiano notizie, foto e impressioni: si discute, si fa politica, si litiga. Il web è un “villaggio globale” a tutti gli effetti: siamo connessi con il mondo, interagiamo con esso e con gli altri utenti. Tutte cose positive, ma internet è solo un mezzo: a seconda di come lo si usa può diventare un bene o un male, arrivando a commettere reati veri e propri.
Diffamazione su Facebook, reati e conseguenze nella realtà
Spesso siamo tentati di credere che quello che facciamo sul web non abbia ripercussioni sulla vita reale. Invece, quello che accade in rete ha un riscontro anche nella quotidianità, arrivando a sconvolgerla.
Il caso di Rimini, per esempio, è l’ennesimo episodio di bullismo online. Un ragazzo di soli 15 anni ha deciso di lasciare la scuola e la città in cui era arrivato per studiare perché oppresso, schernito, offeso e maltrattato anche su Facebook dai compagni. Lo chiamavano “sorcio”, per via dei denti un po’ sporgenti: non bastassero le offese dal vivo, sono arrivate anche quelle online. Una sofferenza eccessiva per un ragazzino che alla fine non ha retto: ha denunciato i compagni, quattro di loro sono finiti sotto inchiesta per diffamazione, e ha fatto i bagagli, lasciando la scuola e la città.
La storia terribile di Andrea S., il 15enne suicidatosi perché gay e perché offeso dai compagni di scuola, è forse quella che ha fatto più rumore a livello mediatico. Il giovane era il bersaglio degli insulti e delle cattiverie dei coetanei che avevano anche creato una pagina Facebook per deridere il “ragazzo dai pantaloni rosa”. Andrea non ha retto e si è impiccato con una sciarpa.
Anche Caterina Simonsen, la 25enne padovana, studentessa di Veterinaria a Bologna che aveva raccontato la sua esperienza di malata, viva grazie alla ricerca e alla sperimentazione sugli animali, è stata vittima di una violenza senza pari sulla sua pagina Facebook. Insulti, minacce e oscenità lanciate dagli animalisti:c’è stata anche tanta solidarietà per lei che alla fine ha deciso di chiudere il profilo, riaprendolo solo in seguito.
Cos’è la diffamazione su Facebook
La diffamazione è un reato previsto dall’articolo 595 del codice penale. Questo il testo:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032”.
“Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è la reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065”.
“Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e multa non inferiore a 516 euro”.
“Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
Perché si ravvisi il reato di diffamazione ci devono essere determinate condizioni: offesa all’onore e al decoro di qualcuno, la comunicazione con due o più persone che non siano corresponsabili e l’assenza della persona offesa (altro caso è quello dell’ingiuria che prevede la presenza della persona offesa). Per onore si intende il sentimento e l’idea che ciascuno ha di se stesso e il rispetto e la stima di cui si gode presso il gruppo sociale. Il reato può diventare ancora più grave e con pene aumentate se la condotta offensiva avvenga davanti a molte persone e se l’ingiuria ha finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso.
Il legislatore ha dovuto fare i conti con la realtà di oggi in cui internet e il social network sono diventati parte integrante della comunicazione e della vita dei cittadini. La diffamazione può correre online, arrivando a una platea potenzialmente enorme. Offendere e insultate qualcuno sul web non è come farlo tra poche persone, in un ambiente ristretto e limitato a livello anche territoriale: la rete abbatte le barriere, allargando l’esposizione alla diffamazione a migliaia di persone.
Diffamazione su Facebook, i casi che hanno fatto giurisprudenza
La rete si evolve in maniera veloce e non sempre si hanno i mezzi giuridici per fronteggiare nuovi reati. Nel caso della diffamazione ci sono però alcune vicende che hanno fatto giurisprudenza, dando cioè indicazioni su come il legislatore intende muoversi e creando precedenti.
Il più noto risale al 2012 con la sentenza 31 dicembre 2012 n. 38912 arrivata dal tribunale di Livorno. Un’ex dipendente di un centro estetico della città, a suo dire licenziata ingiustamente, aveva postato sulla propria bacheca di Facebook post offensivi contro l’ex datore di lavoro, arrivando a consigliare di non andare nel centro. Il titolare l’aveva denunciata per diffamazione e il tribunale gli aveva dato ragione, condannando l’ex dipendente al pagamento di una multa da mille euro, il pagamento delle spese legali e un risarcimento di 3mila euro.
L’uso di Facebook è stato ritenuto un’aggravante proprio per la platea di persone a cui ci si rivolge: l’insulto e la diffamazione online raggiunge molte più persone e lede in maggior misura l’onore e la dignità di una persona. In precedenza c’era stato anche una sentenza del tribunale di Monza che aveva disposto il risarcimento di diecimila euro per una causa di diffazione di Facebook.
Di questi giorni invece la notizia che anche un “like” può essere diffamazione su Facebook. Un utente di Parma ha infatti postato il classico “mi piace” su alcuni commenti offensivi all’interno di una disputa tra due donne appartenenti a gruppo politici. Le parole erano dure e offensive, ledendo la persona e chiamando il causa anche il figlio. Da qui la denuncia che si è estesa anche ai “like”: secondo l’accusa in questo caso ci si rende complici del reato di diffamazione.
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