[didascalia fornitore=”Foter”]Diossina[/didascalia]
Dici diossina e la mente evoca un terribile panorama di inquinamento e malattie. La diossina e gli effetti sull’ambiente che ha, ubiquitari, significano infatti inquinamento di aria, acqua e suolo a lungo termine. Noi non la vediamo, ma questo non modifica il suo status di veleno ambientale. Quelli che constatiamo, però, sono gli effetti sull’ecosistema e sulla salute umana: disfunzioni endocrine che interessano anche le generazioni successive, tumori, disordini immunitari, problemi dermatologici. Ma è possibile stare alla larga dalla diossina?
La definiamo al singolare, diossina, ma in realtà, i composti tossici dai disastrosi effetti sull’ambiente ai quali ci riferiamo, quando parliamo di questa sostanza, sono un’intera classe di molecole, più di 200. Al suo interno ne troviamo alcune meno inquietanti e altre, come la famigerata TCDD (2,3,7,8 tetracloro-dibenzo-diossina) decisamente pericolose. Simili e a volte incluse nella definizione, anche se impropriamente, sono i furani e i policlorobifenili.
Tutte le molecole di diossina si classificano come composti organici, ossia contenenti carbonio e altri elementi quali ossigeno e idrogeno, uniti al primo da uno o più legami covalenti. Perché si formi una molecola di diossina occorre un processo combustivo con presenza di cloro e idrogeno, assenza di zolfo e scarso ossigeno. Il cloro entra a far parte della molecola ed è il principale responsabile dei suoi effetti nefasti. Queste condizioni si verificano negli inceneritori e nei processi industriali per la produzione in particolare – ma non solo – di ceramiche, cemento, metalli, vetro, carta. Ovviamente, nella parte alta della lista si piazzano gli stabilimenti dove si producono sostanze a base di cloro, come ad esempio molti detersivi. Gli inceneritori fortunatamente oggi sono molto meno inquinanti, pur emettendo ancora una certa percentuale di queste molecole. Altre fonti generatrici di diossina sono gli incendi, da quelli naturali a quelli, ancor di più, di fabbriche, la combustione delle centrali termoelettriche e delle caldaie, incluse quelle domestiche. I fitofarmaci possono contenere diossine: tristemente famoso è l’esempio del Vietnam. Qui, durante la guerra del 1964-75, gli americani usarono diserbanti in dose massive; contenevano appunto diossine – il famigerato TCDD -, e gli effetti sulla popolazione locale, anche a lungo termine, hanno aiutato a capire la pericolosità di queste sostanze.
La diossina inquina l’atmosfera sotto forma di particolato. La circolazione atmosferica ne determina un’ampia diffusione anche molto lontano dal luogo di origine. La degradazione naturale della sua forma più pericolosa, il TCDD, avviene ad opera dei raggi ultravioletti in presenza di idrogeno disponibile. In tal caso avviene nell’arco di giorni. Se invece il TCDD si accumula al suolo e si lega ad altre sostanze la degradazione è lentissima, dell’ordine di mesi o anni. Per quanto grave, l’inquinamento dell’aria da parte della diossina è prioritario soltanto in seguito ad incidenti come l’esplosione di Seveso. Altrimenti soltanto il 10% circa della diossina che penetra nell’organismo proviene dall’atmosfera.
Il suolo è quello che in media contiene le più grandi concentrazioni di diossina, risentendo quindi dei suoi effetti ambientali. Qui le molecole reagiscono con altri composti presenti nel terreno ed entrano a far parte della catena alimentare. Alcuni studi indicano che non è solo l’uomo a risentire dei suoi effetti, anche gli animali (tutti?) accusano problemi, ad esempio disfunzioni tiroidee e alterato assorbimento della vitamina A. Analogamente all’essere umano, gli animali colpiti sono anche quelli delle generazioni successive.
Gli scarichi industriali contenenti diossina possono inquinare l’acqua. La sua presenza negli organismi acquatici lo dimostra. Così come per la terraferma, l’inquinamento dell’acqua risulta a lungo termine. Da notare che le correnti marine svolgono funzione analoga a quelle aeree, trasportando la diossina, probabilmente, anche molto lontano dal luogo di immissione. La diossina è insolubile in acqua, ma quest’ultima è un eccellente veicolo, purtroppo, per i suoi spostamenti.
L’alta concentrazione ambientale di diossina e il suo essere liposolubile spiega perché sia un grosso problema. La respiriamo, ma soprattutto la ritroviamo nella catena alimentare. Il fatto che la razza umana sia al vertice di quest’ultima è una pessima notizia, perché ingerendone quantità continue da chi sta più in basso nella catena, la accumuliamo nei tessuti. A questo punto eliminarla non è semplice. La diossina si “annida” nel tessuto adiposo e purtroppo passa anche nel latte materno. Occorrono in media dai 7 agli 11 anni per dimezzare la sua presenza nell’organismo. Dato che però la ingeriamo regolarmente, nessuno di noi è immune dalla sua presenza. La concentrazione individuale varia in base all’età e alla percentuale di grasso corporeo: maggiore è, più diossina ci portiamo addosso. Altrettanto importante l’esposizione, sia all’inquinamento atmosferico da diossina, sia dietetico. Pesci grassi, soprattutto di taglia grande, prodotti caseari e burro sono quelli più a rischio contaminazione elevata.
Gli effetti tossici sull’organismo riguardano:
Più nello specifico, l’interferenza della diossina sul sistema immunitario provoca riduzione del numero di linfociti e alterazioni sulla loro attività. La cute invece può essere interessata in particolare dalla cloracne, una forma simil-acneica che può comparire in ogni parte del corpo. A questo si aggiunge un effetto irritante dose-dipendente che interessa anche gli occhi. Il sistema riproduttivo, in presenza di diossina diventa meno efficiente e le conseguenze possono andare dalla minore fertilità alla sterilità in caso di grave intossicazione acuta. Documentata l’attività cancerogena delle diossine più tossiche, TCDD in testa: linfomi, tumori al seno e al fegato risultano incrementati. L’effetto sull’apparato endocrino riguardano soprattutto il pancreas – si può arrivare al diabete – e la tiroide. Purtroppo l’effetto non si ferma alla generazione esposta. Studi comparativi dopo il disastro di Seveso hanno dimostrato una correlazione tardiva sicura. I bimbi nati da madri vissute in zona nel 1976, l’anno dell’esplosione all’impianto dell’Icmesa, anche dopo decenni presentano valori alterati di Tsh, sintomo di problemi tiroidei. Altro dato riscontrato, un’anomalia nel rapporto nascituri maschi-femmine. Noramalmente ha valori lievemente superiori per i primi, mentre dopo l’incidente sono calate le nascite di maschi. I genitori interessati sono stati quelli che all’epoca si trovavano in fase prepuberale.
Essendo ubiquitarie, con effetti sull’ambiente a lungo termine, evitare completamente le diossine non si può. Ci sono però accorgimenti che permettono di ridurre, anche di molto, l’esposizione a queste molecole. La prima e più importante strategia è evitare i cibi che possono contenerne percentuali maggiori:
L’elenco ovviamente non indica gli alimenti che sicuramente contengono alte dosi di diossina, bensì indicano il rischio che avvenga qualora la nutrizione o la zona d’allevamento sia esposta a dosi elevate di diossina. Talvolta poi si verificano emergenze, come la contaminazione delle uova, o di allevamenti. In tal caso purtroppo si viene a sapere soltanto tramite i mass media, a danno magari già iniziato.
Dieta a parte, è bene evitare l’uso di caldaie casalinghe a combustione esterna nei locali interni, dato che possono rilasciare una sia pur minima percentuale di diossina nell’ambiente.
Per conoscere meglio la diossina e gli effetti sull’ambiente nel quale viviamo ecco due testi sull’argomento.
Tossicologia ambientale: gli effetti della diossina sull’uomo, di Giovanni Polizzi e Calogero guagliano, è un libro di taglio scientifico ma divulgativo che descrive la diossina, gli effetti sull’ambiente e sulla salute umana.
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Seveso 1976. Oltre la diossina di Federico Robbe, è il racconto della tragedia vissuta dagli abitanti di Seveso. Scritto con uno stile scorrevole, cala il lettore nei panni dei protagonisti di quel tragico evento, aiutandolo a capire cosa significa davvero un disastro ambientale.
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