Una direzione PD convocata permanente nel corso delle consultazioni per “aiutare Sergio Mattarella in questo delicato momento” e decidere cosa fare, richiamando alla responsabilità tutti i partiti. Matteo Renzi si toglie i panni del premier, confermando le dimissioni, e indossa quelli del segretario di partito per la resa dei conti dopo il voto del 4 dicembre. Nessun dibattito, solo le dichiarazioni di Renzi, in un secondo momento si metterà ordine con un passaggio che sarà molto duro come conferma lui stesso. Prima di arrivare in direzione, Renzi ha mandato l’ultima eNews da presidente del Consiglio. “Non sono io a decidere ma devono essere i partiti – tutti i partiti – ad assumersi le proprie responsabilità. Il punto non è cosa vuole il presidente uscente, ma cosa propone il Parlamento”, scrive.
Renzi arriva libero dal peso delle dimissioni congelate, lasciando una situazione abbastanza paradossale. Da un lato il premier ha confermato l’addio da capo del governo, dall’altro c’è una maggioranza parlamentare che poche ore prima ha riconfermato la fiducia a quello stesso esecutivo.
Il nodo è centrale. Il PD rimane il primo partito in Parlamento, avendo 400 tra deputati e senatori. Impossibile pensare di fare a meno dei dem anche per un governo tecnico o di scopo o per andare alle urne in anticipo. Il problema però è cosa vuol fare il PD ora: a deciderlo, dice Renzi, sarà la direzione dopo aver gestito la crisi di governo.
Il discorso di Renzi in direzione
“Siamo tutti consapevoli della rilevanza del momento. Il passaggio interno sarà duro, molto duro, e dovrà arrivare dopo aver affrontato la crisi di governo“, dice iniziando il suo discorso, dopo essere stato accolto dall’applauso dei presenti. “Siamo il partito di maggioranza relativa e dobbiamo dare una mano al Presidente della Repubblica ad affrontare il momento così delicato”.
Il primo passaggio riguarda la bocciatura della riforma che “apre ripercussioni ampie”, sul governo, sul Parlamento e sul partito. “Il popolo ha votato, viva il popolo. Mi assumo tutta la responsabilità di non aver dato i motivi per votare sì. Ora abbiamo anni per imparare a convivere con il bicameralismo paritario e il rapporto difficile tra Stato e Regione”, ricorda, dichiarando di averne parlato al telefono con Giorgio Napolitano.
“Non abbiamo paura di nulla. Se le altre forze politiche vogliono andare a votare dopo la scelta della Consulta, lo dicano. Il PD non ha paura della democrazia e dei voti. Se vogliono un nuovo governo per fare una legge elettorale e gestire gli appuntamenti internazionale del 2017, il PD ne è consapevole, ma non può essere il solo. Abbiamo già pagato il prezzo della solitudine della responsabilità”, dice citando il sostegno al governo Monti. “Anche gli altri partiti devono farsi carico del peso. Se appoggiamo un governo di responsabilità, ci dipingeranno come, e cito, “Il IV governo non votato dal popolo”, ‘dopo il colpo di Stato’ o ‘figlio del trasformismo di Alfano e Verdini”.
A salire alle consultazioni al Colle sarà una delegazione composta dal vice segretario Lorenzo Guerini, il presidente Orfini, i due capogruppo (Ettore Rosato per la Camera e Luigi Zanda per il Senato). Non ci saranno dunque esponenti della minoranza ma neanche lo stesso Renzi.
“Qui si discute e qui si vota”, ricorda in merito a quello che succederà dopo le consultazioni. Non può mancare una frecciatina a chi della minoranza ha sostenuto il No, a partire da Massimo D’Alema. “So che qualcuno di noi ha festeggiato in maniera dirompente e con uno stile non elegante, che ricorda Don Abbondio. Io festeggio questo momento. Quando designato dal PD hai la fortuna di governare il paese più bello del mondo non hai il diritto di aver il broncio”.
L’ultima eNews da premier
La eNews aveva già anticipato l’intervento di Renzi, pronto a entrambe le soluzioni messe in campo dagli avversari politici. “Il Presidente della Repubblica farà le consultazioni. Toccherà ai gruppi parlamentari decidere che cosa fare. Vorranno andare subito a elezioni? Nel caso si dovrà attendere la Sentenza della Consulta di martedì 24 gennaio e poi votare con le attuali leggi elettorali, come modificate dalla Corte”, dice a proposito di chi punta al voto immediato.
Il secondo invece rispecchia più quanto delineato da Mattarella, cioè un governo di scopo con cui fare la nuova legge elettorale ma non solo. “Se i gruppi parlamentari vorranno invece andare avanti con questa legislatura, dovranno indicare la propria disponibilità a sostenere un nuovo Governo che affronti la legge elettorale ma soprattutto un 2017 molto importante a livello internazionale”, conferma.
Anche la base è divisa
Anche la base è divisa tra sostenitori del segretario e chi non vede l’ora di mandarlo a casa. Ne è una prima prova i toni che si leggono sui social. Orfini è costretto a fare un secondo post in cui cerca di calmare i toni tra chi urla addosso ai “traditori” e chi non vede l’ora della “resa dei conti”.
Molti iscritti e non hanno attaccato Pier Luigi Bersani sulla sua pagina Facebook tanto da rendere necessario l’intervento del presidente Matteo Orfini dal suo profilo. “Ho visto sui social argomenti e slogan – per fortuna usati da pochi – che non mi piacciono. Capisco l’amarezza per quanto successo, ma chiedo a tutti quelli che verranno di abbracciare e sostenere il nostro partito, lasciando ad altri la rabbia. Affrontiamo anche questo passaggio difficile col sorriso e con la tranquillità e ne usciremo più forti di prima”, scrive Orfini. Non era presente uno dei vincitori del referendum, Massimo D’Alema che fa sapere di avere altri impegni in Europa.
“Ci sarà un congresso in cui discuteremo di questo. Presto. Abbiamo perso il referendum. Sentire l’affetto di chi con noi ha condiviso questa battaglia, della nostra splendida comunità, riempie il cuore. E ringrazio tutti quelli che oggi verranno al Nazareno con questo spirito. Ma vi chiedo ancora una volta di lasciare la rabbia a casa. Perché facendosi guidare dalla rabbia i problemi non si risolvono. Aumentano”, ricorda ancora il presidente.
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