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Direzione PD, resa dei conti tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani

Alla fine dei giochi la direzione Pd ha approvato unanime la relazione di Matteo Renzi, senza astenuti e a poco è valsa la decisione della minoranza di sfilarsi scegliendo di non votare. E mentre si è aperto un tavolo sull’Italicum, l’ombra della scissione che aleggiava nel partito, in qualche modo annunciata da Bersani, Speranza e Co., sembra essersi diradata. Renzi ha incassato quindi un ghiotto risultato mostrandosi aperto alle modifiche davanti agli italiani e lasciando alla minoranza il ruolo dei ”rosiconi” arroccati sul No. Ma soprattutto ha messo una condizione: che le eventuali modifiche all’Italicum saranno discusse dopo il referendum sulla Costituzione, ossia dopo il 4 dicembre, e non prima.

All’indomani della Direzione PD parla Pier Luigi Bersani che, pur appartenendo alla fazione avversa a Renzi, getta acqua sul fuoco: “Invito tutti i commentatori a levarsi dalla testa la scissione”.
Poi alcune parole sulla sua permanenza all’interno del PD: “Per quel che riguarda me, a portarmi fuori dal mio partito ci può riuscire solo la Pinotti… con l’esercito”. Bersani chiarisce anche la libertà di coscienza e di idee all’interno del partito: “Non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai un vincolo di disciplina di partito sui temi costituzionali. Questo è così da sempre ed è così per qualsiasi partito”.
Poi un affondo a Renzi: “Chi guarda le cose in buona fede, non può non vedere che l’incrocio tra la riforma costituzionale e l’Italicum produce una modifica profonda della forma di governo, modifica che io ritengo negativa e, con quel che succede nel mondo, anche pericolosa”.
Infine la sua dichiarazione di voto su referendum e Italicum: “Ricavo dalla giornata di ieri che si vuole tirare diritto, visto che una commissione non si nega a nessuno. Ma se si tira diritto non si potrà tirare diritto con il mio sì e quindi si tirerà diritto con il mio no. Tutti quelli che hanno responsabilità, devono dire al mondo che non andiamo all’appuntamento con il giudizio di Dio, nè con l’Apocalisse. Stiamo discutendo in di una cosa italo-italiana e il giorno dopo sul piano sociale, economico e della permanenza del governo noi saremo gli stessi del giorno prima. Punto”.

RESOCONTO DELLA DIREZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO

Ripercorriamo adesso in sintesi i fatti e rivediamo i passi fondamentali di quanto si è detto dopo la tesissima direzione di lunedì.
Roberto Speranza ha bocciato come “non sufficiente” la modifica dell’Italicum che Gianni Cuperlo ha invitato a concretizzare in “una proposta” di tutto il partito da fare “a giorni” e non dopo il referendum. In sostanza il premier-segretario apre a una “discussione profonda dopo il periodo elettorale” su ballottaggio, premio alla lista e metodo di elezione dei parlamentari. I tre pilastri dell’Italicum, insomma, non sono più “paletti”, come riassume il capogruppo della Camera Ettore Rosato. La legge elettorale – è la convinzione del presidente del Consiglio – non è più importante della riforma costituzionale. Per questo, per provare a tenere unito il partito sul Sì al referendum, Renzi ha istituito una delegazione presieduta dal vicesegretario Lorenzo Guerini – con funzioni di coordinamento -, i due capigruppo Rosato e Luigi Zanda, il presidente Matteo Orfini più alcuni esponenti della minoranza.

Dopo gli interventi di Cuperlo e Speranza, Renzi ha cambiato in parte idea proponendo che già “nei prossimi giorni la commissione si metta a lavorare” sul “lodo Fassino“. “La richiesta che facciamo a questa delegazione – argomenta Renzi – è di incontrare tutti, anche il M5S, e di togliere anche questo alibi dal tavolo a chi parla e parla e sembra però più disposto ad aprire una discussione polemica che a trovare soluzioni“.

La scissione nel PD è dunque possibile? “Non credo che ci sia un rischio simile, ma mi auguro che nelle prossime tutti facciano i passi giusti nel nome della pluralità e dell’unità del partito” afferma in una intervista a Repubblica, il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Secondo Martina il segretario Matteo Renzi ha “fatto proposte utili per avanzare unitariamente. E credo che abbia fatto bene a fissare come testo di riferimento la proposta Chiti-Fornaro sull’elezione diretta dei senatori. Allo stesso modo giudico positivamente il gruppo di lavoro che nascerà all’interno del Pd per un aggiornamento dell’Italicum“.

E c’è stato grande fermento in via del Nazareno per la direzione PDche ha portato allo scontro finale tra Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani. L’ex segretario ha aperto le ostilità con l’intervista al Corriere della Sera in cui ha confermato il no della minoranza dem al referendum costituzionale del 4 dicembre. Per i bersaniani, le promesse di dialogo sono tutte “chiacchiere” e il “tempo ormai è scaduto“, ma per il segretario è un voto solo per antipatia. L’attuale numero uno dei dem ha risposto dalle telecamere de L’Arena su Rai Uno e ha ricordato che Bersani ha votato tre volte sì in Parlamento. “Rispetto le posizioni di tutti ma Bersani ha votato per tre volte la riforma che non ho scritto io da solo a Rignano sull’Arno, è stata due anni e quattro giorni in Parlamento. Bersani l’ha votata tre volte, se cambia idea per il Referendum ognuno si farà la sua opinione“, è la sua replica.

L’ultima stoccata arriva nell’intervento ad Assolombarda. Davanti alla platea di imprenditori e industriali Renzi parla di “metodo Bubka”, facendo riferimento al campione di salto con l’asta Sergej Bubka. “Ogni mattina c’è qualcuno che fa a gara ad alzare l’asticella di un centimetro. Ma siamo a un bivio di fondo: ci crediamo o no nel futuro del paese”. Nessun timore per la direzione e per la resa dei conti. “Giornata difficile? E per chi?“, risponde a chi gli chiede come sarà la direzione.

L’INTERVENTO DI RENZI: “Non siamo il partito dei caminetti, siamo qui ad aprire la 31esima direzione dal 2014, da quando sono segretario, per far valere i voti delle primarie e perché abbiamo scelto la democrazia interna“. È un Renzi combattivo quello che apre la direzione del PD sul referendum costituzionale.

Il segretario fa un quadro della situazione internazionale, sottolinea il silenzio sulla guerra in Siria e la devastazione di Aleppo, fa notare che Barack Obama ha scelto l’Italia per la sua ultima cena ufficiale e che i numeri siano più positivi, citando la crescita del +4,1% annuo della produzione industriale, anche se “i numeri dell’economia sono ancora bassi per la nostra ambizione“.

È ridicolo confrontare le stime del governo e quelle del FMI“, dice, ricordando che “se prima l’Italia giocava per la retrocessione con la Grecia, ora punta alla Champions“. Il premier rivendica quanto fatto da suo governo e ribatte che “oggi ci sono più diritti e meno tasse“, mentre rivolge lo squadro alle beghe interne al partito. “Se avessimo dedicato un decimo dei tweet sulla discussione interna a ciò che s’è fatto, il PD sarebbe più orgoglioso“, dice prima di elencare vari provvedimenti, dalla legge sul cinema al record nella lotta all’evasione fiscale a quella sulle banche su cui vorrebbe “sfidare chiunque, qui dentro e fuori, in un dibattito all’americana” sulla governance bancaria degli ultimi 20 anni.

Questo paese si è mosso dalla palude e non viene scalfito dalle polemiche auto referenziali che senti solo se voli a bassa quota“, dice ricordando gli appuntamenti del prossimo anno, a partire dal G7 di Taormina ed è per questo che definisce “surreale” la discussione interna sulla riforma costituzionale. “Dal primo giorno del mio mandato non è passato un giorno in cui non sia stato oggetto di polemiche interne“, ribadisce, nel ricordare che “le polemiche servono a chi vola basso“.

Fuori da qui la risposta è no, ma qual è la domanda?“, dice perché “fuori da qui c’è una cultura di divisione incentrata sull’odio e l’insulto sui social” e cita fake e trolls. Per questo è pronto a rimettere mano alla legge elettorale ma rimane in attesa delle proposte, anche come richiesto dalla minoranza. “Ho il compito politico di affrontare il tema del combinato disposto tra legge elettorale e riforme“, ma “se qualcuno immagina di usare la legge elettorale sono pronto a smontare ogni obiezione“.

Per dire di no a questa riforma si usano le banche, le migrazioni, le bollette, tutto quello che non c’entra niente perché se si entra nel merito si vede la coerenza della riforma. Sono pronto a togliere anche l’ultimo alibi, quello della legge elettorale, ma io attendo le proposte perché è facile dire che nulla va bene e poi non muoversi“, conferma.

Chiedo di adottare il ddl Chiti e Fornaro sulla legge elettorale dei senatori“, prosegue indicando i nomi Guerini e Orfini per la commissione PD che dovrà occuparsi delle modifiche all’Italicum con l’obiettivo di “aprire a tutti, anche al M5S” sul confronto sulla legge e richiama tutto il PD alla manifestazione per il sì.

Sono passati 18 anni da quando qualcuno ha ammazzato l’Ulivo, abbiamo passato 18 anni a chiederci chi sia stato il responsabile: i nostri militanti non si meritano altri 18 anni così“.

LA RISPOSTA DELLA MINORANZA: Il primo della minoranza a parlare è Gianni Cuperlo che apre il suo intervento notando che nella crisi globale “l’Italia resiste ma non riparte con la spinta necessaria” e che “bloccare il paese per due mesi su un tema che non ha impatti diretti sulla vita del paese” è inutile. L’attacco di Cuperlo è rivolto prima a Orfini perché “dopo che l’ex sindaco di Roma viene assolto avrei almeno voluto sentire le scuse“, dice riferendosi all’assoluzione di Ignazio Marino.

L’arroganza è marchio di stagione e noi non ne siamo esenti“, aveva detto poco prima e chiede al segretario una “prova di saggezza” per evitare lo strappo, aprendo alla commissione ma mettendo in dubbio la volontà di voler ricucire con la minoranza. “Non è la minoranza PD che dà contro Renzi, ma forse è il contrario“, spiega. “Se perdi il referendum avrai paralizzato il paese per un anno, se vinci camminerai sulle macerie della sinistra“, conclude Cuperlo che conferma il suo no in mancanza di un vero confronto nei prossimi giorni e annuncia le dimissioni da deputato dopo il 4 dicembre.

Sul finale interviene Roberto Speranza che apre il suo intervento ricordando il legame tra Italicum e riforma costituzionale. “Stiamo decidendo che una Camera dà la fiducia e fa le leggi? Bene, io sono anche d’accordo ma diventa decisivo come la eleggi questa Camera. La legge elettorale non è un alibi“, chiarisce. “Non mi voglio sottrarre al dibattito, ma penso che la proposta del comitato non sia sufficiente“, dice e chiede che sia il governo a fare una proposta di modifiche all’Italicum.


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Redazione

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