Spending review è il nuovo karma del governo Renzi, alla ricerca dei fondi necessari al finanziamento delle riforme economiche. Uno dei passaggi fondamentali sulla strada del risparmio è senza dubbio il taglio degli stipendi, che riguarderà anche i dirigenti statali oltre che i top manager delle aziende pubbliche. Non solo, perché nel progetto voluto dal ministro Marianna Madia ci sono anche altre novità importanti per chi lavora nella Pubblica Amministrazione. Qualche esempio? Gli incarichi a termine per i dirigenti e lo stipendio variabile in base ai risultati ottenuti. Un primo passo verso l’introduzione del merito anche nell’apparato burocratico, accompagnandolo con una decisa riduzione della spesa.
Il destino delle retribuzioni di manager e dirigenti pubblici era già stato deciso all’interno del DEF 2014, il documento che stabiliva i piani a medio termine del governo Renzi e le riforme necessarie per il rilancio del Paese. Per questioni di equità e di opportunità, il risparmio delle casse dello Stato non poteva non possare anche attraverso il taglio degli stipendi, che spesso hanno raggiunto livelli imbarazzanti (soprattutto in rapporto ai risultati). Così il governo ha stabilito che i top manager delle aziende pubbliche (pur con esclusioni importanti) non potranno mai guadagnare più del Presidente della Repubblica, ovvero 239 mila euro lordi l’anno. E i dirigenti? Anche per loro ci sarà una decisa sforbiciata, seguita da una razionalizzazione dei ruoli, visto che oggi la burocrazia appare una giungla dove tutti sono importanti ma nessuno sembra essere responsabile.
Secondo quanto indicato nel DEF 2014, i tetti per gli stipendi dei dirigenti saranno contingentati come segue: per i capi dipartimento 190 mila euro l’anno; per i dirigenti di prima fascia 120 mila euro e per i dirigenti di seconda fascia 80 mila euro. A questo si aggiungerà poi, in un decreto redatto dalla Madia, la staffetta generazionale per garantire l’afflusso di forze giovani e fresche nella Pubblica Amministazione, con conseguente prepensionamento dei dipendenti pubblici già vicini alla pensione. Il che porterà a un risparmio garantito dalla differenza tra gli stipendi attualmente elargiti a chi dovrebbe andare in scivolo pensione e lo stipendio delle new entry.
Le ultime due novità per i dirigente, che dovrebbero trovare spazio nel decreto di riforma della Pubblica Amministrazione, sono la revisione del sistema di reclutamento e mobilità e gli stipendi suddivisi in una parte fissa e una variabile in base ai risultati. Con la prima ci si vuole assicurare che nessun dirigente resti in carica a tempo indeterminato, occupando a vita la stessa poltrona, mentre con la seconda si vuole legare, anche nel pubblico, una parte della retribuzione al merito effettivo. Un modo per dire ai dirigenti che il loro posto non è assicurato e che devono guadagnarselo, proprio come fanno i lavoratori normali. Potrebbe anche funzionare, a patto che il Parlamento fe i sindacati facciano davvero passare una riforma che punta sui tagli e sul risparmio nella Pubblica Amministrazione, da sempre territorio sacro e intoccabile.
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