Per una strana coincidenza del destino, il Festival di Sanremo si tiene nella settimana del voto sul ddl Cirinnà. La manifestazione canora più tradizionalista del nostro Paese e il disegno di legge più moderno delle ultime legislature si incontrano e si scontrano. Se l’edizione 2016 del Festival viene già additata come la più gay friendly della storia, è anche perché la censura ha sempre fatto parte del Dna di Sanremo. Canzoni contro l’aborto, testi rimaneggiati al solo nominare l’amore gay, cantanti dimenticati perché omosessuali: parlare di temi delicati come i diritti civili dal palco dell’Ariston è stato praticamente impossibile.
Lo dimostrano anche le attuali polemiche pre-Festival. Viene invitato Elton John, un mostro sacro della musica pop, e l’organizzatore del Family Day, Massimo Gandolfini scrive una lettera alla Rai per chiedere che l’ospitata non si trasformi in uno spot pro gay e non diventi “un comizio a favore dell’omogenitorialità”. Se ci deve essere un cantautore gay, felicemente sposato e padre, allora, prosegue Gandolfini, ci deve essere una “controparte”. A rappresentare cosa non si capisce, ma guai a mostrare la serenità di una famiglia arcobaleno.
Contro il povero Elton John si è scatenata anche Giorgia Meloni, al centro di polemiche per la sua gravidanza fuori dal matrimoni annunciata al Family Day. “Mamma Rai dà l’utero in affitto a Elton John e lo paga”, dice la leader di Fratelli d’Italia che aveva definito il ddl Cirinnà “la legge per Elton John, fatta per i ricchi”. Perché tanto accanimento contro un ospite musicalmente così prestigioso? È solo perché è omosessuale?
Cosa temono i sostenitori della “famiglia tradizionale”? Che il palco del teatro Ariston si trasformi in una succursale del Gay Pride? In realtà è l’esatto contrario. Il Festival di Sanremo è stato il regno dell’ipocrisia e dei diritti civili negati, specchio di quell’Italietta che scende in piazza a dire quanto è bella la famiglia tradizionale e poi “lava i panni sporchi in famiglia”.
Mentre si intima a Elton John di non parlare della vita di una normale coppia gay, si vocifera già di censura preventiva anche in questa edizione di Sanremo. “N.E.G.R.A”, la canzone di Cécile, in gara nelle Nuove Proposte, avrebbe subito il taglio di un verso contro ogni forma di razzismo, omofobia compresa.
Difficile, difficilissimo parlare di diritti civili a Sanremo. Nel 2015, sul palco del Festival di Sanremo salì la famiglia più numerosa d’Italia composta da mamma, papà e 18 figli per controbilanciare l’ospitata di Conchita Wurst (condita dalle solite polemiche). Nel 2009 “Luca era gay” di Povia arriva al secondo posto: come dimenticare il trambusto della canzone che raccontava una sorta di “guarigione” dall’omosessualità, con “Luca che era gay e ora sta con lei”?
Umberto Bindi, come racconta Luigi Manconi nel libro “La musica è leggera. Racconto su mezzo secolo di canzoni”, viene allontanato per 35 anni da Sanremo perché omosessuale; Nek esordisce nel 1993 con il brano “In te (il figlio che non vuoi)” contro l’aborto; nel 1996 il brano di Federico Salvatore “Sulla porta” viene censurato perché “omosessuale” non si deve dire in diretta nazionale e così il doloroso racconto del coming out viene annacquato.
Certo, la censura si è abbattuta su tanti testi passati dal Festival. Nel 1971, solo per citare il caso più noto, Lucio Dalla canta “Gesùbambino” per la sua prima apparizione sanremese e la canzone diventa “4/3/1943” dove il passaggio “e ancora adesso che bestemmio e bevo vino / per i ladri e le puttane mi chiamo Gesù Bambino” diventa “e ancora adesso che gioco a carte e bevo vino / per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino”. La storia del Festival è costellata di veti, censure e brani rimaneggiati per non urtare “l’etica cattolica” del Paese: sarebbe ora che l’etica diventasse laica, anche a Sanremo.
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