Tra le varie manovre che il Consiglio Europeo sta prendendo in considerazione per intervenire sulle tariffe di vendita del mercato dell’energia vi è anche il disaccoppiamento dei prezzi di gas ed elettricità: ecco i motivi e come si vorrebbe procedere.
La scelta di legare i due andamenti valutari ha radici storiche ed è stata utile fino allo stravolgimento di mercato ed economia internazionale dovuto a Covid-19 prima e guerra in Ucraina poi.
All’inizio del secolo gli enti regolatori del mercato dell’energia hanno promosso l’omologazione del prezzo dell’elettricità al costo di vendita del gas: il provvedimento ha generato fino a non molto tempo fa indubbi vantaggi, eppure oggi, per via del mutato equilibrio economico globale, questo rischia di produrre più danni che benefici.
Il ragionamento che spinse all’attuazione del legame risiede nel prezzo più alto del gas: legare l’energia elettrica, anche quella estratta da fonti rinnovabili, ad un combustibile dal costo più elevato significa generare un surplus per i produttori dell’elettrico.
Questi ultimi quindi sono stati incentivati ad investire in questi impianti, spesso fondati su tecnologie a basso impatto ambientale, poiché a fronte di spese di avviamento e manutenzione ridotte, i guadagni erano assai lauti. Il circolo virtuoso terminava nel fatto che indirettamente si spingevano enti pubblici e privati ad investire in impianti rinnovabili (favorendo il cammino green europeo) proprio perché spendendo molto poco si poteva rivendere l’energia prodotta a prezzi ben più importanti.
Quindi fino a non molti anni fa l’accoppiamento attuato sulla Borsa di Amsterdam (TTF), la sede per convenzione indicata come luogo in cui si stabilisce il costo dell’energia commercializzata in Europa, era di vantaggio un po’ per tutti.
La prima crepa al sistema si è avuta nell’immediato dopo pandemia, a metà circa del 2021. La ripresa generalizzata e a grandi ritmi della produzione mondiale, dopo le chiusure e le interruzioni dovute al Covid, ha fatto schizzare il prezzo del gas e delle fonti energetiche in generale.
Il meccanismo è alquanto semplice: impennata improvvisa della domanda, disponibilità della stessa a pagare di più per accaparrarsi un bene scarso e ricercato da tutti, prezzo dell’offerta che si innalza per le dinamiche concorrenziali.
Quindi il prezzo del gas comincia a crescere in modo importante (questo tipo di idrocarburo è sfruttato per produrre la stessa energia elettrica, come avviene per circa il 50% in Italia) trascinando con sé il valore dell’elettricità.
Poi è arrivata la guerra in Ucraina e la scelta del Paese aggressore, la Russia di Vladimir Putin, di operare tagli e manovre distorsive nel mercato delle forniture energetiche per finanziare coi rincari la propria scellerata campagna omicida.
Qui il meccanismo economico, semplificando nuovamente ed inevitabilmente, è opposto, poiché non è stata tanto la domanda ad aumentare, quanto l’offerta a diminuire: di conseguenza più un bene diviene scarso più si apprezza.
Ecco perché oggi si vorrebbe disaccoppiare elettricità e gas: a fronte di una partita di energia elettrica prodotta da rinnovabili il cui costo può aggirarsi intorno alle poche decine di Euro, questa viene invece livellata sul prezzo dell’idrocarburo, che oggi arriva a toccare vette anche di 300€ per megawattora, di fatto disincentivando l’acquisto di una fonte, come l’elettricità da rinnovabili, che è ancora discontinua, non ancora sufficiente a coprire i bisogni e inefficiente sotto alcuni aspetti.
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