È un disastro naturale quello che sta accadendo sulle coste della Kamchatka, la penisola situata all’estremità nord-orientale della Russia. Greenpeace ha diffuso in questi giorni le drammatiche immagini di centinaia di animali morti sulle spiagge: polpi, pesci, foche riversi senza vita sulla sabbia.
A mettere in allerta gli attivisti ambientalisti erano stati i post condivisi sui social da diversi surfisti, che dopo essersi immersi nelle acque della zona, avevano riscontrato, già da metà settembre, sintomi di avvelenamento, come tosse, febbre, nausea e perfino ustioni oculari e alla cornea.
La causa della moria di animali dunque è da ricercarsi nelle acque dell’Oceano. Sono stati raccolti 143 chili di materiale e inviati al Comitato investigativo russo per le analisi.
Gli attivisti di Greenpeace nei giorni scorsi sono prontamente accorsi in Kamchatka per verificare quanto stia accadendo, non potendo far altro che constatare come sia in corso un vero e proprio disastro ambientale. Per ora sono riusciti a controllare le spiagge a sud della città di Petropavlovsk-Kamchatsky e hanno avuto testimonianze dirette circa la baia di Khalaktyrsky e quelle adiacenti, ma il timore principale è che questa ondata “velenosa” possa raggiungere il distretto dei vulcani, sito patrimonio UNESCO.
Oltre alla grande quantità di animali morti, Vasily Yablokov, un membro della squadra di Greenpeace, ha riferito che è stato rilevato un cambiamento del colore e della densità dell’acqua, infatti vi era una schiuma giallastra e il mare risultava opaco.
Su volontà di Vladimir Solodov, governatore della Kamchatka, le acque sono state analizzate dal Centro idrometeorologico e del ministero per l’Ambiente locali: è risultata la presenza di prodotti petroliferi anche in profondità, che stando alle prime analisi, superano di quattro volte il limite massimo consentito.
Rilevata anche la presenza di fenolo, 2,5 volte oltre il limite. Alla luce di questi dati, la richiesta di Greenpeace è quella che il governo russo presti maggior attenzione alle politiche ambientali e rafforzi i controlli in merito, in un’ottica di conversione green della produzione russa.
Solodov ha dichiarato che tutti gli animali sul fondo del mare sono morti, come ha poi anche spiegato lo scienziato Ivan Usatov: le immersioni hanno rivelato che il 95% degli animali è deceduto, solo qualche pesce, gamberetto o granchio è riuscito a sopravvivere.
L’area contaminata potrebbe essere molto più estesa di quella conosciuta finora e questo potrebbe comportare la morte di ancora più animali nel giro di un breve periodo. Le autorità locali hanno assicurato che le indagini saranno trasparenti e che in ogni caso verranno bonificati i due siti militari che si trovano sulla penisola, una delle probabili fonti dell’avvelenamento delle acque.
Le altre ipotesi vedono come imputati una discarica locale dove potrebbe essersi verificata una perdita di sostanze tossiche o una nave di passaggio che avrebbe sversato petrolio proprio al largo della Kamchatka; quest’ultima teoria è sostenuta dal ministro per l’Ambiente del distretto locale Aleksej Kumarkov. Che però è contestata dall’ecologo Dmitry Lisitsin, capo dell’organizzazione “La guardia ecologica di Sachalin (Ekologicheskaya vakhta di Sachalin)”, isola che si trova proprio a nord del Giappone, dall’altra parte del Mare di Okhotsk rispetto alla Kamchatka.
Secondo quest’ultimo, il petrolio non c’entrerebbe niente perché solitamente crea un film sulla superficie del mare, portando alla morte soprattutto uccelli che si cibano di pesci e non coinvolgendo le creature del fondale, inoltre non è particolarmente tossico.
La causa, dunque, sarebbe da ricercarsi nei carburanti molto tossici dei razzi abbandonati nel poligono militare di Radygino, inutilizzato da ventidue anni. Altri ancora, attribuiscono la colpa dell’inquinamento all’interramento di pesticidi in un altro sito militare, quello di Kozelskij.
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