Qual è lo stato della situazione ambientale in Giappone dopo il disastro di Fukushima? Oggi dopo 6 anni da quel marzo 2011, quando gli incidenti accorsi alla centrale nucleare giapponese fecero rivivere al Paese del Sol Levante il dramma della radioattività, già vissuto in coda alla Seconda Guerra Mondiale con le bombe americane sganciate sulle città di Hiroshima e Nagasaki, possiamo dire che la combinazione di terremoto e tsunami ha prodotto conseguenze nel lungo periodo fortemente nefaste. A 6 anni dal disastro proviamo a riassumere non solo quanto accaduto, ma che cosa è cambiato e quali sono le conseguenze più rilevanti per il territorio intorno all’area di Fukushima, che vivrà un enorme impatto in termini ambientali, databile non solo in anni, ma in secoli.
Ripercorriamo innanzitutto le cause di quel drammatico giorno, che ha segnato una delle pagine più buie del popolo nipponico a seguito del disastro della centrale nucleare, frutto di un terremoto e di un conseguente tsunami in quell’area del Paese nipponico, e analizziamo in seguito gli effetti delle radiazioni nucleari sulla base degli studi e delle ricerche fatte fino a oggi, come il report di Greenpeace del 2016, associazione che si è occupata costantemente in questi anni delle questioni ecologiche legate al disastro di Fukushima.
11 marzo 2011: l’incidente alla centrale di Fukushima
Il Giappone è territorio fortemente sismico, e da sempre convive con scosse e maremoti anche di elevata intensità: ma probabilmente mai la popolazione avrebbe pensato di rivivere l’incubo atomico quando un terremoto e un conseguente tsunami si abbatterono nella regione di Tohoku l’11 marzo 2011, provocando una serie di quattro distinti incidenti presso la centrale nucleare di Fukushima. La fusione dei noccioli dei reattori 1, 2 e 3 furono i danni più rilevanti, ma non gli unici, che coinvolsero anche gli altri reattori a causa delle esplosioni chimiche avvenute: complessivamente l’incidente venne classificato dall’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone al grado 7, il massimo grado della scala, precedentemente raggiunto solo dal celebre incidente nucleare di Chernobyl, non a caso anch’esso mediaticamente definito ‘disastro’. Le conseguenze sulla popolazione, evacuata quasi completamente dall’area con poche eccezioni, e sull’ambiente sono stati incalcolabili, una tragedia le cui conseguenze sentiremo parlare per molto tempo ancora.
Marzo 2017: l’impatto di Fukushima oggi
Lo stato della situazione oggi, dopo sei anni dal disastro di Fukushima, sono molto più rilevanti di quanto probabilmente le stesse autorità nipponiche pensavano. L’impatto del terremoto e dello tsunami sono ben poca cosa rispetto ai livelli di radioattività raggiunti intorno a tutta l’area coinvolta dall’incidente nucleare: è notizia di pochi giorni fa che il livello di radiazioni in una parte del reattore numero 2 sarebbe il più alto mai registrato dal disastro del marzo 2011, secondo quanto riportato dai media locali citando la Tepco, acronimo di Tokyo Electric Power Co. Holdings, che si occupa della gestione dell’impianto. Fino ad oggi nel reattore erano state rilevate radiazioni solo fino a 73 sievert l’ora, dopo il blocco della centrale provocato a marzo 2011 dallo tsunami, ma a fine gennaio 2017 una telecamera inviata per ispezionare il reattore ha evidenziato un foro di 2 metri sotto il recipiente a pressione che contiene il nocciolo atomico: la Tepco ha stimato un livello di 530 sievert l’ora in quella zona del recipiente di contenimento, quanto basta per uccidere un uomo in meno di un minuto. Con questi livelli, nemmeno i robot impiegati nella decontaminazione possono funzionare per più di due ore prima di essere distrutti.
L’impatto della radioattività: il report di Greenpeace
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Già nel luglio 2015 un precedente report di Greenpeace aveva snocciolato dati che dimostravano come la decontaminazione di Fukushima fosse fallita, ma la conta dei danni riguardo l’impatto della radioattività mostra oggi il suo lato più terrificante con il report Radiation reloaded del 2016, che evidenzia come gli elementi più nocivi e a lungo termine siano stati assorbiti da piante e animali, e mediante le catene alimentari riconvertiti e poi trascinati fin verso l’Oceano Pacifico da tifoni, inondazioni e dallo scioglimento della neve. Parliamo di una contaminazione che durerà secoli, e che non risparmia nessun habitat naturale, dalle foreste ai fiumi, stando alle ricerche indipendenti utilizzate da Greenpeace per la propria analisi, 25 indagini radiologiche sulla zona costiera più un’indagine sottomarina, per studiare la contaminazione radioattiva dei sedimenti oceanici, e gli effetti anche su flora e fauna. Il disastro di Fukushima è più forte oggi, 6 anni dopo l’incidente, che non al momento dell’impatto del terremoto e dello tsunami: di fronte a questi dati, fa specie che il governo giapponese abbia annunciato l’intenzione, entro la fine di marzo 2017, di ritirare l’ordine di evacuazione per i 6mila cittadini di Iitate, un villaggio che si trova a breve distanza da uno dei reattori coinvolti nel disastro. Secondo Ai Kashiwagi, esponente della campagna Energia di Greenpeace Giappone, ‘i cittadini che torneranno a Iitate saranno esposti al rischio equivalente a quello di una radiografia del torace a settimana. Questo non è normale o accettabile‘.
Da questa complessa mole di dati emerge ad esempio che il fiume Abukuma, uno dei più grandi del Paese, nei primi 100 anni potrebbe scaricare in mare qualcosa come 111 terabecquerel di Cesio-137 e 44 TBq di Cesio-134, due sostanze radioattive dall’impatto devastante. Elementi radioattivi sono stati rintracciati nelle foglie di molti alberi, e già si assiste a mutazioni nella crescita degli abeti, in alcune tipologie di farfalle, nei geni dei vermi che abitano nel sottosuolo contaminato. Conseguenze accertate anche per pesci ed uccelli, con specie come le rondini che hanno cali di fertilità appurata, e pesci d’acqua dolce in cui sono stati riscontrati elevati livelli di contaminazione da cesio. Le accuse degli ambientalisti sono rivolte al governo giapponese, che non avrebbe messo in campo le adeguate contromisure per tutelare le biodiversità e l’ecosistema, e soprattutto avrebbe compiuto ulteriori danni nel processo di decontaminazione.
Il pericolo nelle zone circostanti
[Credit Photo: Franck Vogel per gentile concessione Green Cross Italia]
Non solo l’area di Fukushima coinvolta dal disastro, ma anche le zone circostanti presentano un livello di radiazioni ben al di sopra dei limiti consentiti: a testimonianza di ciò vi è un altro report effettuato da Green Cross, una Ong ambientalista che ha effettuato alcuni campionamenti nelle fasce territoriali limitrofe alla centrale nucleare. In base ai loro risultati ad esempio, a Koriyama, situata in una delle due fasce di contaminazione radioattiva che si estendono per 225 chilometri a sud verso Tokyo e a sud-ovest, i valori degli isotopi radioattivi rilevati superano quattro volte il limite massimo, con rischi per gli abitanti di contrarre patologie tumorali e anomalie genetiche gravissime. Per questo gli ambientalisti chiedono oggi di estendere il raggio di evacuazione dalla centrale nucleare a tutta la popolazione interessata, soggetta ad un’esposizione alle radiazioni costante e non occasionale secondo gli esperti, oltretutto acuita dalla contaminazione dei prodotti alimentari. Altro che terremoto o tsunami.
Il caso dell’acqua contaminata
Un capitolo a parte della complicata questione delle bonifiche del territorio dalla radioattività merita l’acqua contaminata, che in linea puramente teorica doveva essere sversata in mare attraverso protocolli sicuri, secondo quanto dichiarato dal governo nipponico. Ma l’ex premier Naoto Kan, che era in carica in quei tristi giorni dell’incidente a Fukushima, getta una luce sinistra su quanto ancora sta accadendo intorno all’area. Riportiamo oggi una dichiarazione del 2016 che fa ancora rumore: ‘C’è del materiale radioattivo che continua a fuoriuscire dalla centrale di Fukushima: a 5 anni dal disastro l’acqua contaminata viene ancora dispersa in mare, anche se la Tepco, gestore dell’impianto, dice il contrario‘, afferma l’ex primo ministro in un’intervista rilasciata a Repubblica. Per chiudere i reattori ci vorranno secondo le sue affermazioni molto più dei 40 anni dichiarati dalla Tepco, e allo stato attuale solo 60mila dei 160mila residenti evacuati sono tornati alle loro abitazioni. Ad oggi le bonifiche delle aree colpite dal disastro procedono a rilento, e soltanto successivamente si prevede di estendere gli interventi anche nelle aree agricole e boschive limitrofe all’area di Fukushima. Se quanto dichiarato da Naoto Kan corrisponde a verità, il riversamento dell’acqua radioattiva in mare produrrà conseguenze gravissime sia per le biodiversità che per la popolazione attraverso la catena alimentare, a dispetto delle quali l’allarmante report di Greenpeace potrebbe rivelarsi persino prudente nelle stime. Sembra paradossale che un Paese che presenta alti standard di sicurezza contro eventi disastrosi quali terremoti e tsunami, che ha già conosciuto l’Olocausto nucleare a seguito delle bombe americane sganciate al termine della Seconda Guerra Mondiale, si sia fatta trovare così impreparata alle possibili conseguenze di un disastro nucleare. Un incubo per la popolazione e per l’ambiente, ieri come oggi.