E’ dal lontano 1992 che l’Italia si deve ancora adeguare al “reddito minimo garantito”, la forma di sostegno pubblico ai disoccupati promossa dalla Comunità Economica Europea con la Raccomandazione 92/441. In aprile sono spuntate le proposte di legge di Pd, Sel e M5S, da allora si è risvegliato l’interesse per gli strumenti di Welfare quali il “reddito minimo garantito” e il “reddito di cittadinanza”. Facciamo un pò di chiarezza, a partire dalla spiegazione di ciascun tipo di sostegno economico per chi vive al di sotto della soglia di povertà.
Cos’è il reddito minimo garantito
E’ un tipo di benefit che spetta di diritto a chi ha lavorato e poi perso l’impiego, e che risulta agganciato agli ammortizzatori sociali. E’ limitato nel tempo e condizionato alla disponibilità del beneficiario di accettare un’offerta di lavoro o a partecipare a programmi di formazione finalizzati al suo reinserimento nel mercato. Il reddito minimo garantito è la scelta da preferire, in quanto rappresenta un incentivo alla ricerca di lavoro, proprio perchè vincolato ai lavoratori. Il costo netto del benefit si aggira sui 10 miliardi di euro.
Il reddito di cittadinanza
Viene garantito dallo Stato a sostegno del reddito personale a qualsiasi cittadino maggiorenne, sia che lavori o meno sia che in passato abbia o no lavorato. Questo tipo di vantaggio economico viene associato per la vita ad ogni individuo, a prescindere dalla sua disponibilità a lavorare, e viene finanziato attraverso le tasse.
Il salario minimo non c’entra
Molti di voi avranno magari fatto confusione fra il salario minimo e il benefit che costituisce il “reddito minimo garantito”. In realtà, il primo è ben diverso dal secondo: nel diritto al lavoro è la più bassa paga oraria, giornaliera o mensile che i datori di lavoro devono per legge corrispondere ai propri dipendenti. Nel nostro Paese, il livello di salari minimi è previsto dalla contrattazione fra le parti sociali e non dalle leggi nazionali. Sono esenti da questo tipo di retribuzione gli stage e i contratti a progetto.
La situazione italiana
Il primo tentativo di soddisfare le richieste della Comunità Economica Europea arrivò dal governo Prodi, con il DL n.237 del 18 giugno 1998 che istituiva il Reddito Minimo di Inserimento, introdotto in Finanziaria per il 1998; il governo Berlusconi però smise di finanziarlo nel 2003. Sempre il governo Prodi ci ha riprovato e con il Dpef 2008-2011 ha tentato di reintrodurre il Rmi, senza però riuscire a finanziarlo. Da allora diverse Regioni ed enti locali hanno provato a reintrodurre dei benefit a vantaggio dei più bisognosi, purtroppo però sembra che ci vorrà ancora del tempo per vedere qualcosa di concreto.