Secondo quanto analizzato dall’associazione culturale Meritocrazia Italia, l’inclusione femminile nel mondo del lavoro fa passi in avanti, ciò nonostante bisogna continuare a procedere tanto a livello lavorativo quanto sociale.
Se vi è difatti un miglioramento nella condizione delle donne sul posto di lavoro, altre misure sono richieste e soprattutto sarebbe necessario migliorare gli obiettivi dei provvedimenti per avere un’equità totale e duratura nel tempo.
L’occupazione femminile migliora leggermente in Italia, attestandosi di poco sopra al 50% con ampie variazioni per regione, per tipologia di contratto e genere di mestiere svolto.
Tuttavia ciò che persiste è il gap, la differenza, tra uomini e donne; con le seconde sempre a rimorchio di una crescita più generale dell’occupazione.
Il tutto genera, o dovrebbe generare, ancora più scalpore se si considera come la metà biologicamente femminile della popolazione rappresenti il 60% del numero di laureati italiani. Nonostante ciò, questa occupa solo il 17% dei posti dirigenziali e ad alto profilo all’interno di aziende, consigli di amministrazione ed istituzioni.
Naturalmente, conseguente e nota piaga peninsulare, la retribuzione, pur nelle diversità geografiche ed impiegatizie, mantiene costante l’inferiorità femminile rispetto alla paga percepita da un uomo, ovviamente a parità di mestiere. Se si ha la barba ed un petto villoso, ciò solitamente è sufficiente a guadagnare circa il 20% in più delle “dolci ed indifese” fanciulle.
Governo ed istituzioni pubbliche, anche grazie ai fondi del PNRR, stanno tendando di offrire ad aziende e luoghi di lavoro strumenti atti a favorire l’occupazione delle donne al fine di ridurre il gender gap.
Qualcosa si è mosso e ha dato dei frutti: l’Italia sale di 13 posizioni nel Global Gender Gap Record 2021 affermandosi al 63esimo posto della classifica mondiale.
Eppure, lo sottolinea anche Meritocrazia Italia, quanto fatto non è ancora sufficiente, soprattutto in quanto incentivi e sgravi non potranno mai sopperire alla rivoluzione culturale che è necessaria al fine di eliminare questa differenza di impiego e salario.
Finché cioè non si sarà eradicata dalle menti una certa visione patriarcale della donna, legata per qualche supposto istinto naturale alla cura parentale e a lavori che non sono considerati degni di retribuzione ma che al contempo nessuno svolgerebbe (una condizione spesso simile a quei migranti economici che secondo la vulgata nessuno vuole ma che al contempo sono indispensabili per quei lavori di fatica e mal retribuiti che parimenti nessuno vuole più fare), ben poco cambierà davvero.
Ergo è quanto mai opportuno intervenire sulla cultura attraverso un percorso che già nella formazione strutturi persone utili alla società, indipendentemente dal loro apparato riproduttivo, che non fornisce né bonus né malus nel contesto lavorativo, dove è invece il cervello e la capacità di relazione ed intesa del personale a premiare l’attività economica.
Quindi si gioisca per la direzione corretta, ma non si creda di essere giunti alla meta.
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