La disparità occupazionale di genere in Italia e in Europa è una realtà ancora dura da demolire. I dati su quanto incide il genere sui guadagni lo confermano: le donne hanno 59 giorni all’anno in cui lavorano senza ricevere alcuno stipendio, a differenza degli uomini che continuano a percepire la stessa retribuzione per dodici mesi l’anno. Non sono numeri dati a caso, ma sono quelli quantificati dall’Unione Europea che ha studiato la differenza di salario tra generi in termine di denaro, ma anche in giorni e ore. Il cosiddetto “gender pay gap” è tale che in tutta la zona euro le donne guadagnano il 16% all’ora in meno di un uomo: in soldoni, è come se per ogni euro guadagnato, una lavoratrice ne ricevesse solo 84 centesimi. La differenza con gli uomini è importante non solo a livello monetario, ma anche di tempo che le lavoratrici devono sottrarre alla famiglia o alla carriera. Insomma, le donne europee lavorano spesso più degli uomini ma non vengono pagate allo stesso modo.
I calcoli, elaborati dalla Commissione Giustizia europea, hanno evidenziato una realtà desolante che ha spinto l’UE a ideare l’Equal Pay Day, istituito da Bruxelles ogni 2 novembre, giorno dal quale parte il famoso conteggio dei 59 giorni senza stipendio.
I numeri parlano chiaro. La media europea indica che la differenza tra gli stipendi maschili e femminili è del 16,3%: per ogni ora di lavoro, una donna incassa 84 centesimi a fronte di ogni euro conteggiato per gli uomini.
A livello globale, dal 2006 non è cambiato quasi nulla: allora, il gap era del 17,7%. Anni di commissioni, iniziative, riforme e quant’altro per avere, ancora oggi, due mesi di lavoro non retribuito. Le differenze cambiano in base alle fasce d’età: per esempio, in Finlandia nelle under 25 la differenza è del 6,3%, mentre per le over 64 è oltre il 25%.
Non siamo soli in Europa, viene da dire. L’ultimo dato italiano certificato dall’UE è del 7,3%, ma è un dato non reale, come hanno fatto notare vari istituti nostrani, dall’Istat alla Banca d’Italia. La media non tiene conto della bassa occupazione femminile in Italia, in particolare al Sud dove il 50% delle donne in età da lavoro è disoccupata. Nella realtà, si potrebbe arrivare al 20% di differenza tra uomo e donna, e questo a parità di occupazione. Se aggiungiamo che una libera professionista lavora fino a giugno per pagare le tasse, il cerchio si chiude.
Non solo. Gli ultimi dati sul gender pay gap in Italia per il 2016, elaborati dal World Economic Forum (qui il dettaglio dedicato al nostro paese), sono ancora più inquietanti. Nell’anno appena passato, la nostra nazione si è piazzata in 50esima posizione su 144, salendo dalla 77esima da cui era partita nel 2006, per la disparità tra uomo e donna in generale. Se però si prende solo il dato della disparità salariale, della differenza cioè tra gli stipendi, l’Italia è tra le ultime nazioni al mondo, con la 117esima posizione.
Il rapporto analizza la disparità economica delle donne analizzando diverse voci, a partire dalla scarsa presenza femminile in ambiti decisionali e manageriali, oppure rilevando la minore presenza di donne in lavori tecnico-scientifici. Si tratta di situazioni che molto hanno a che fare con un cambiamento profondo della società che è in corso ma non ancora concluso.
Fosse solo quello, si potrebbe pensare che la strada è lunga ma qualcosa è cambiato, allora come mai, alla voce “salario per lo stesso mestiere” l’Italia è al 127esimo posto? Il dato indica che le donne non solo hanno maggiori difficoltà a fare carriera ma che anche se hanno lo stesso lavoro di un uomo vengono pagate molto meno, per la precisione il 51% in meno.
A chi fa spallucce e anzi è convito che la disparità di genere salariale sia un “falso problema”, un consiglio: inutile negare la realtà perché tanto, alla fine, la vita reale bussa alla porta. È arrivato il momento che tutti si diano da fare per cancellare questa ingiustizia.
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