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Dissidenti M5S, il duo Grillo-Casaleggio contro tutti: cosa sta succedendo al movimento?

Multe per i dissidenti, contratti con vincoli legali per evitare il “cambio di casacca”, sospensioni per i candidati alle “Comunarie”: i problemi per il M5S a Roma aumentano con il passare dei giorni. La notizia, rivelata dalla Stampa, di un contratto voluto da Gianroberto Casaleggio per multare fino a 150mila euro i dissidenti candidati nella Capitale, è solo l’ultimo tassello di uno scontro sempre più acceso tra i vertici del movimento e la base. Con le elezioni amministrative sempre più vicine (e con il caso unioni civili ancora in corso), il sospetto è che ogni tentativo di contraddire il duo Grillo-Casaleggio debba essere fermato, a ogni costo. In ballo non c’è solo l’elezione in Campidoglio ma la tenuta a livello nazionale del movimento.

In un’intervista al Corriere della Sera, Luigi Di Maio non solo difende la “multa” voluta da Casaleggio ma la rivendica come elemento fondante del M5S. “Se non pagano la sanzione li portiamo direttamente in tribunale”, spiega senza mezzi termini il vice presidente della Camera. Per loro non è una novità: gli eletti al Parlamento Europeo hanno firmato un contratto simile con multe per 200mila euro e finora “non è stato necessario applicarlo”.

Perché gli eletti devono firmare questa carta? Per evitare tradimenti. “Bisogna rispettare il vincolo di mandato, non ne possiamo più di questi eletti da noi che poi passano al PD”, continua Di Maio. Ne va della “qualità del movimento stesso”: per questo, chi si candiderà a Roma, anche nel caso venga eletto, dovrà firmare lo stesso documento.

Qualcosa però non torna e non sono solo i media a dirlo. Lo fa la stessa base romana del movimento, alle prese con una situazione paradossale. Si stanno ancora valutando oltre duecento curriculum di candidati alle “comunarie” e già sono partite le prime espulsioni.

A essere colpiti sono membri di spicco della Capitale, persone indicate come fondatori del meet up romano come Roberto Motta, moderatore del forum e spesso critico nei confronti del Direttorio. “Le scriviamo in nome e per conto di Beppe Grillo con riguardo ad alcune segnalazioni che ci sono pervenute. Ci risulta che lei abbia disconosciuto in modo pubblico il sistema di votazione e delle candidature su cui si basa il Movimento cinque stelle. Per questo motivo viene sospeso con effetto immediato dal Movimento”. Il testo della mail, riportato da più media, è chiaro: bastano semplici “voci” per mandare fuori dal movimento uno dei candidati più in vista per la corsa al Campidoglio.

Sui forum, la base chiede chiarimenti di queste sospensioni, anche perché altrettanto chiaro è che, in questo caso, è stato colpito uno degli storici avversari di Roberta Lombardi, “grillina” di primo piano a livello nazionale. Secondo quanto riporta La Stampa, nella Capitale si è tenuta giorni fa un’assemblea per decidere come comportarsi con i “giornalisti che danno fastidio”. Da una parte si elimina il dissenso interno con lo spauracchio di multe e sospensioni a raffica; dall’altra si tiene fuori la stampa perché non emergano dissidi che possano rovinare l’immagine granitica del movimento.

Tutto ruota intorno a Roma, dove il M5S è stato artefice della caduta di Ignazio Marino e dove i parlamentari e membri del Direttorio hanno un palcoscenico mediatico più grande. Fuori dalla Capitale, la mano lunga di Casaleggio-Grillo arriva con molta più fatica. Sempre il quotidiano torinese, rivela che il cosiddetto “contratto delle multe” non è stato firmato dai candidati piemontesi perché non è mai arrivato. Come dire, in Piemonte è la base che decide, non il Direttorio.

Questo non toglie però che anche nella Città della Mole non abbiano dovuto sottoscrivere un contratto simile. Lo rivela Repubblica che ha contattato Chiara Appendino, candidata alle amministrative per la città di Torino. Lì stanno ragionando su un “codice etico” simile a quello che lei sottoscrisse nel 2011 per candidarsi in consiglio comunale: in quel caso, gli obblighi erano rispetto al programma, allo stipendio ridotto e alla presenza alle sedute (almeno all’80%). Fin qui, tutto nella norma, finché non spunta la clausola che lei stessa definisce del “divieto di trasformismo“, cioè di uscire dal gruppo M5S, pena una “multa da 2.000 euro al mese (120mila euro in 5 anni) per ogni mese di tradimento“.

Se a questo si aggiungono le voci di dissenso sulla candidata ufficiale a sindaco di Milano, Patrizia Bedori, il quadro diventa più chiaro. Difficile mantenere lo spirito “duro e puro” delle origini quando si fa politica sul serio, a meno di usare metodi non proprio democratici.

Lorena Cacace

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