Ci risiamo. Lo scorso 8 aprile la commissione Giustizia della Camera ha dato un nuovo via libera al divorzio breve, anche stavolta all’unanimità. Diciamo subito che la sostanza del ddl giunto in commissione Giustizia non è quella contenuta nel testo originariamente presentato dai Radicali Italiani, i quali sulla scorta delle legislazioni già in vigore oltralpe avevano proposto l’accorpamento di separazione e divorzio in un unico istituto giuridico.
D’altra parte come dargli torto? Quello che in Italia chiamiamo “divorzio breve”, in tutto il resto d’Europa (Irlanda e Malta a parte) si chiama semplicemente divorzio. Francia e Gran Bretagna lo concedono in sei mesi, alla Spagna ne bastano due e in Svezia si ottiene con un semplice atto in Comune, ma di separazione obbligatoria proprio non si parla.
Addirittura in altri Paesi dell’Ue, come per esempio quelli scandinavi e quelli dell’Est, la separazione legale non è neppure prevista dall’ordinamento.
E diciamo anche che il ddl in esame ha assorbito in itinere un elemento discriminante di dubbia costituzionalità, ovvero una differente riduzione dei tempi (da tre a un anno per le coppie con figli minori e nove mesi per tutte le altre), che già lo scorso anno aveva suscitato non poche perplessità per la commissione Affari costituzionali e che potrebbe complicare il nuovo iter legislativo. Se poi ci soffermiamo sulla forma, non sfuggirà la trappola terminologica della definizione “divorzio breve” che sa tanto di fumo negli occhi in perfetto stile vecchia politica, dal momento che, se varata, la riforma inciderebbe sui tempi della separazione, non certo sul divorzio. Per onestà intellettuale “separazione breve” sarebbe forse stato un termine più azzeccato, ma si sa che parlar chiaro non è proprio un pregio della politica. E allora cosa augurarsi? Per dirla con la deputata del Pd Alessandra Moretti, relatrice del testo unico insieme al parlamentare di Fi Luca D’Alessandro, “auguriamoci che il percorso di questa legge, per troppe volte rimandata nelle scorse legislature, possa essere rapido, anche grazie all’accordo preso dai presidenti di Camera e Senato che hanno previsto tempi stretti per la calendarizzazione del provvedimento”.
Certo, dopo decenni di inerzia legislativa, corriamo il rischio di veder approvata una mezza riforma, ma meglio che niente, no?
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