DNA alieno nell’uomo? Cellule non umane scoperte in leucemie e tumori

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Un Dna non umano, definito “alieno”, potrebbe essere alla base della leucemia mieloide acuta, patologia tumorale del sangue che ogni anno registra almeno 2mila nuove diagnosi in più solo in Italia. L’incredibile scoperta è tutta marcata made in Italy, anzi made in Milano, visto che è stata realizzata dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e gli ematologi dell’Ospedale Niguarda. La ricerca, autofinanziata totalmente con il sostegno di associazioni di volontariato (Associazione Malattie del Sangue Onlus di Milano e Como Hematology and Oncology di Como), è stata pubblicata il 17 novembre su Nature (qui il link allo studio) e potrebbe rappresentare una svolta nella cura delle malattie oncologiche del sangue e non solo.

La scoperta potrebbe aprire scenari mai presi in considerazione prima e potrebbe rappresentare un passo in avanti nella comprensione dei meccanismi che portano allo sviluppo della leucemia mieloide acuta, tumore delle cellule del sangue, ma anche di altre patologie tumorali.

LA SCOPERTA
: L’équipe di scienziati, con base a Milano, coordinati per la parte di ricerca accademica dal genetista Alessandro Beghini del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano e da Roberto Cairoli, Direttore dell’Ematologia di Niguarda, per la parte clinica, hanno scoperto che nel 56% dei casi, cioè in più di un paziente su due, nelle cellule leucemiche esiste del DNA non di tipo umano. La prima ipotesi su quello che i ricercatori definiscono un “corpo estraneo” nel genoma dei pazienti è che si tratti di un virus o di batteri che potrebbero essere responsabili dello sviluppo della malattia. La “pista microbiologica”, come specificano dal Niguarda è solo la prima e ci vorrà tempo e studi per capire cos’è quel DNA “alieno”.

COME CI SI È ARRIVATI: Lo studio nasce da una scoperta realizzata 4 anni fa dalla stessa équipe milanese riguardo la proteina WNT10B, presente in maniera massiccia nelle cellule leucemiche con una crescita incontrollata tipica dei meccanismi tumorali. “Siamo andati a ritroso e ci siamo chiesti chi impartisse questo ordine in grado di attivarla”, chiariscono Alessandro Beghini e Roberto Cairoli.

L’attuale scoperta è frutto delle tecniche più avanzate ma è stata resa possibile anche grazie all’utilizzo di apparecchiature che gli stessi scienziati hanno definito “vintage”. Le prime infatti hanno reso possibile l’identificazione di una variante della proteina WNT10B oncogene.

Sono però state le seconde a rendere possibile la scoperta di un DNA non umano nelle cellule tumorali. Grazie anche al prezioso contributo di Francesca Lazzaroni (assegnista di ricerca presso il Dipartimento Scienze della Salute) e di Luca Del Giacco (Ricercatore presso il Dipartimento di Bioscienze di Unimi), il team è riuscito a “zoomare” sulla sequenza del DNA e a leggere le caratteristiche. In quella che viene indicata come “l’area interruttore che regola l’espressione o lo spegnimento del gene”, è arrivata la scoperta di nucleotidi (i mattoni che costituiscono il DNA) sicuramente non di origine umana.

“In questo ha giocato un ruolo fondamentale l’uso di sequenziatori automatici diciamo un po’ vintage”, svelano Roberto Cairoli e Alessandro Beghini. “È stata la nostra fortuna perché i macchinari di ultima generazione avrebbero scartato le sequenze non umane in automatico senza analizzarle”.

LE CONSEGUENZE: Il DNA non umano è stato scoperto nel 56% dei 125 casi analizzati dall’équipe negli ultimi 5 anni, ma si sono avuti importanti riscontri anche alcuni tumori al seno che presentano la stessa alterazione genetica. La scoperta potrebbe segnare una svolta decisiva nella comprensione della malattia e la conseguente cura. La prossima sfida che attende l’équipe milanese è capire a che specie appartiene quel DNA, come è entrato nel corpo umano e come sconfiggerlo. La prima conseguenze è diretta ai farmaci usati per la cura della leucemia mieloide acuta che si concentreranno ora nel distruggere i meccanismi di proliferazione della proteina WNT10B grazie alle terapie a bersaglio molecolare.

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