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Rocco Liguori, direttore dell’Unità operativa complessa di Clinica neurologica dell’Università di Bologna, ci parla della difficoltà che molti pazienti neuropatici incontrano a causa della mancanza di centri specializzati nel formulare una diagnosi precisa – e quindi una cura – del dolore neuropatico. Si tratta di una condizione che determina “sofferenza nel paziente, non solo per via del dolore, ma anche per la difficoltà di arrivare a dare un nome alla propria malattia”. In Italia è difficile avere una diagnosi approfondita per determinare l’origine del disturbo poiché gli esami specifici, purtroppo, non sono disponibili uniformemente su tutto il territorio nazionale.
Liguori fotografa chiaramente la situazione in Italia: “Oltre al nostro centro, in Italia ce ne sono pochi altri in grado di offrire un iter diagnostico completo. E’ da considerare che, di per sé, gli esami neurofisiologici istopatologici non trovano un’applicazione comune e, per poter essere effettuati, richiedono attrezzature adeguate e personale medico laboratoristico esperto. Pertanto – osserva e sottolinea l’esperto – la diagnosi di questo disturbo può non essere formulata o, nella migliore delle ipotesi, essere formulata in ritardo”.
Ma quali sono i sintomi specifici del dolore neuropatico? Intorpidimento e bruciore, scosse elettriche e sensazioni come di punture o lacerazioni: sono i tipici sintomi ‘spia’ del dolore neuropatico, che indicano un danneggiamento, diretto o indiretto, della parte del sistema nervoso deputata alla trasmissione degli impulsi degli stimoli dolorifici.
Per capire se un paziente ha una neuropatia occorre fare degli esami specifici: “Abbiamo bisogno di eseguire delle indagini che sono abbastanza inusuali, non presenti quindi in tutti i laboratori – prosegue Liguori – Una di queste riguarda uno studio neurofisiologico eseguito attraverso i potenziali evocati laser, ovvero potenziali evocati da uno stimolo laser applicato alle terminazioni cutanee periferiche, attraverso il quale possiamo analizzare un’onda elettrica generata da questo stimolo, che viaggia lungo la via periferica del nervo o la radice, fino a interessare appunto il midollo e l’encefalo”.
“In questo modo – prosegue Liguori – possiamo analizzare il tempo di percorrenza dell’onda dal punto dello stimolo fino al cervello e stabilire se questo stimolo elettrico si interrompe in qualche distretto anatomico, oppure stabilire se raggiunge l’encefalo con un certo ritardo rispetto alla norma. C’è poi la microneurografia. Si tratta di una tecnica costituita principalmente dall’inserimento di un micro elettrodo all’interno del tronco nervoso, attraverso il quale è possibile registrare l’attività elettrica, evocata o spontanea, che viaggia lungo le piccole fibre nervose, le fibre C, particolarmente deputate alla trasmissione dello stimolo dolorifico”.
Una volta riconosciuta la patologia, si può impostare una terapia. Fortunatamente il trattamento farmacologico si rivela efficace nella cura di questi disturbi: “E’ essenziale per contrastare il dolore e dare sollievo – ribadisce Liguori – Possono essere utilizzati farmaci antinfiammatori, oppure farmaci che modulano l’eccitabilità delle strutture nervose”.
“Però – puntualizza – accanto a queste terapie, sarebbe necessario somministrare anche sostanze neurotrofiche. A tale proposito la levo-acetilcarnitina si pone come un principio attivo molto promettente, perché ad un’azione analgesica ne associa una neuroprotettiva, in grado cioè di prevenire la degenerazione nervosa e favorire la riparazione del tessuto nervoso stesso”, conclude lo specialista.
In collaborazione con AdnKronos
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