Massimiliano è un uomo di 52 anni, affetto da fibrosi cistica, che ha già subito un doppio trapianto polmonare. Melina è sua moglie ed è una vittima del talidomide: è nata per questo senza gambe, che ha sostituito con un paio di protesi. Perché vi parliamo di loro? Perché Massimo ha dovuto affrontare l’ennesima dura sfida che la vita gli ha posto dinanzi: un altro trapianto, quello di rene. E a donarglielo è stata sua moglie. Una storia di eccellenza medica e amore assoluto.
Massimo ha affrontato il trapianto di rene da persona viva, dunque, pratica che gli ha concesso, una volta verificata la compatibilità con sua moglie, di non attendere mesi o magari anni in lista d’attesa, per ricevere un rene da donatore morto.
Gli abbiamo rivolto alcune domande, anche se, dobbiamo essere sinceri, il suo racconto è iniziato ed è continuato come un flusso incontenibile, che è stato bello non interrompere.
Facciamo un salto indietro, quando hai scoperto la fibrosi cistica?
Praticamente l’ho scoperta da solo, leggendo un libro. Ero ricoverato all’Ospedale di Tradate, ma nessuno dava ascolto alla mia teoria. Poi sono arrivato al centro di cura della fibrosi cistica di Milano e lì, a seguito di alcuni esami specifici, hanno scoperto la verità. Proprio durante il ricovero a Tradate, ho conosciuto quella che oggi è mia moglie. Melina era ricoverata per una rinite allergica. Da allora non ci siamo più separati, nonostante molti non credessero in un rapporto così complicato e alcuni abbiano anche tentato di ostacolarci. Ormai sono vent’anni che siamo sposati».
Quando hai affrontato il trapianto di polmoni?
«Sono trascorsi ormai 9 anni. E’ stata una fase della mia vita durissima. Da quando sono stato messo in lista all’Ospedale di Pavia, ho dovuto attendere 3 anni e nel frattempo sono stato chiamato ‘a vuoto’ ben 8 volte».
Come sei arrivato al trapianto di rene?
«Subito dopo il trapianto bipolmonare, con l’assunzione dei farmaci antirigetto, il livello della creatinina ha iniziato ad alzarsi. All’inizio a livelli non preoccupanti, ma col tempo sono peggiorati, sino a diventare gravi. A quel punto ho dovuto iniziare la dialisi e i medici hanno iniziato a parlare di trapianto».
Ti hanno parlato sin da subito della possibilità di trapianto da vivo?
«No, non da subito. Io ho intrapreso la dialisi a Tradate, vicino a casa mia, mentre per il controllo del trapianto polmonare prima e di reni poi sono stato sempre seguito all’Ospedale San Matteo di Pavia. A parlarmi del trapianto da vivo è stata la Dott.ssa Scalia dell’Ospedale di Tradate».
Come siete giunti all’ipotesi che tua moglie ti donasse il rene?
«A differenza di molte persone vicine, che si sono allontanate alla notizia che potessi ricevere un rene da persona viva, mia moglie, donna dotata di un’enorme generosità, si è offerta per farmi questo immenso dono. All’inizio e per diverso tempo l’ipotesi di questa soluzione è stata altalenante. Melina ha grossi problemi fisici e toglierle un rene avrebbe potuto creare disequilibri alla sua schiena, già pesantemente compromessa. C’è chi questo aspetto gliel’ha ricordato in maniera forte: è stato l’ortopedico che l’ha avuta in cura per anni. Lei, dinanzi a quelle considerazioni, ha perso temporaneamente quella sicurezza che aveva all’inizio. Io ovviamente non ho fatto alcuna pressione. Lei ha chiesto sostegno alla psichiatra dell’Ospedale di Pavia e nel giro di un mese ha trovato nuovamente la ragione per donarmi una parte di sé, nel senso proprio del termine».
Tu hai accettato di buon grado il suo lodevole gesto?
«Io non avrei mai preteso un gesto simile e quando lei si è offerta la mia gioia è stata immensa, anche se non ero certo di voler accettare, proprio perché conosco bene le sue difficoltà di salute. Di certo non volevo compromettere ulteriormente la sua vita, egoisticamente a favore della mia. Poi, col trascorrere dei mesi tutto è stato più semplice».
Domanda più importante, come state ora?
«Siamo doloranti, ma stiamo bene. Io ovviamente devo rimanere qui in ospedale ancora per un po’, mentre Melina dovrebbe uscire oggi. Lei ha fatto l’intervento in laparoscopia, proprio per ridurre l’impatto sulla schiena, quindi le hanno introdotto molta aria, che in questi giorni le ha dato piuttosto fastidio. Ma niente di grave, fortunatamente».
Come vedete ora il vostro futuro?
«Lo vediamo lucidamente entrambi, sappiamo bene che anche i miei polmoni trapiantati potrebbero durare un anno, cinque anni, forse più, ma forse, anche molto meno. La cosa importante è che non smettiamo mai di lottare, perché la vita è comunque bella da vivere».
Ci complimentiamo per il suo entusiasmo incredibile, per la sua forza e gli auguriamo tutta la fortuna possibile. Intanto noi, portiamo avanti la sua volontà: parlare della sua storia per dimostrare che l’amore fa compiere gesti incredibili e per far conoscere alla gente l’importanza dei trapianti e in particolare dei trapianti da vivo, una possibilità molto spesso poco considerata.
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