Lo aveva detto e lo ha fatto: Donald Trump cancella i diritti dei transgender voluti da Barack Obama. Il governo americano ha infatti revocato le linee firmate dalla precedente amministrazione sull’uso dei bagni in scuole e università da parte degli studenti transessuali che permettevano di usare bagni e spogliatoi “in modo coerente alla loro identità sessuale”, senza l’obbligo di doverli usare in base al sesso registrato alla nascita. La decisione di Obama era stata salutata come un passo avanti decisivo nella lotta per i diritti delle persone transgender anche perché stabiliva che, in caso di mancato recepimento, gli Stati avrebbero perso fondi federali. Ora il deciso passo indietro voluto da Trump che fa seguito a un maxi ricorso presentato da 13 Stati, a maggioranza repubblicana, capeggiati dal Texas. Associazioni e attivisti LGBT sono già pronti a dar battaglia, ma gli USA non sono certo i soli a discriminare per l’orientamento sessuale.
È bastata una lettera inviata dai dipartimenti alle scuole perché gli States tornassero indietro sulla tutela degli studenti transgender. Le indicazioni volute da Obama indicavano che scuole pubbliche e università che ricevono finanziamenti pubblici dovevano “assicurare che tutti gli studenti, inclusi gli studenti transgender, potessero frequentare la scuola in un ambiente libero da discriminazioni basate sulla loro sessualità”.
Le linee guida di Trump invece riportano che le scuole devono garantire “che tutti gli studenti, inclusi gli studenti LGBT siano in grado di apprendere e prosperare in un sicuro”. Si elimina così la possibilità per gli studenti trans di scegliere quali ambienti usare in base alla loro identità sessuale.
La decisione del neo presidente smonta uno dei maggiori successi dell’amministrazione Obama che aveva fatto decisi passi avanti nella tutela delle comunità LGBT, a partire dal riconoscimento a livello federale dei matrimoni gay, passando per la tutela degli studenti (anche minorenni) transessuali.
Dal canto suo, la Casa Bianca ha voluto precisare che “le norme relative ai bagni per i transgender debbano essere decise a livello statale” e non federale, come aveva fatto Obama, aggiungendo che il ritiro di queste linee guida non lascia gli studenti “sprovvisti di tutele rispetto a discriminazione, bullismo o molestie” perché aprirebbe la strada a un “processo aperto ed inclusivo a livello locale con l’input di genitori, studenti, insegnanti e amministratori”. Soddisfazione è stata espressa dal procuratore generale del Texas, il repubblicano Ken Paxton, che aveva impugnato la causa contro Obama. “La nostra lotta contro la direttiva dei bagni è sempre stata contro il tentativo dell’ex presidente Obama di bypassare il Congresso e riscrivere le leggi per soddisfare la sua agenda politica mirata al cambiamento sociale radicale”, ha dichiarato.
I diritti negati ai transessuali
Il tema dell’identità di genere è entrato nell’agenda politica grazie alle lotte per il riconoscimento dei diritti delle persone LGBT che hanno sollevato il velo ipocrita che ricopre tutto ciò che riguarda l’identità di genere. Ora anche nel nostro Paese si parla della cosiddetta “teoria gender” per cui il sesso biologico è la sola identità sessuale concessa, mentre aprirsi alle “novità moderne” come transgender, intersessuali e altre identità sessuali sarebbe addirittura pericoloso.
Superare il dualismo maschio-femmina è un passaggio difficile in una società dove anche solo essere donne equivale a essere discriminate. Per rimanere negli States, una delle prime mosse di Trump che fece scalpore fu quella di chiedere un abbigliamento “femminile”, con gonna e tacchi, alle donne che lavoravano alla Casa Bianca: la risposta migliore è arrivata proprio dalle donne sotto l’hastag #dresslikeawoman.
In una società del genere, le persone transessuali sono le più indifese, quelle che subiscono gli attacchi più barbari e violenti: i dati raccolti dal Tgeu, associazione europea che unisce 90 associazioni trans di 42 paesi, indicano le difficoltà che ogni giorno i transgender devono affrontare, in Europa e nel resto del mondo.
Anche solo guardando al nostro Paese, abbiamo visto le difficoltà e le battaglie quotidiane che le persone transgender affrontano ogni giorno, a iniziare dalla legislazione sul cambio anagrafico di sesso : in Italia è possibile avere documenti in linea con la propria identità sessuale solo se si è fatta l’operazione ai genitali.
Nel mondo però le discriminazioni sono ancora più profonde e radicate. In molti paesi non si ha neanche l’accesso alle cure ormonali e non stiamo parlando solo di paesi a maggioranza musulmana o in zone in via di sviluppo. Anche in Europa, soprattutto nei paesi dell’Est e dell’area ex Unione Sovietica, le discriminazioni sono all’ordine del giorno: in Russia il transessualismo è ancora considerato un disturbo mentale .
I paesi più aperti ai transgender
Per fortuna nel mondo ci sono paesi che hanno fatto della tutela delle persone transgender un loro vanto o che comunque sono più aperti, garantendo diritti e tutele ai transessuali e a ogni forma di identità sessuale. Uno di questi è sicuramente la Svezia, la prima a varare nel 1972 una legge sull’identità di genere che permette il cambio anagrafico senza l’operazione.
In questo senso è interessante una classifica stilata da Ipsos per BuzzFeed dei paesi “trans-friendly”, cioè più aperti a livello culturale nell’accettazione e nella tutela dei transgender. Il sito americano ha posto sei domande in 23 paesi di tutto il mondo: se i trans dovessero essere protetti da interventi governativi; se potessero scegliere quale bagni pubblici utilizzare; se avessero il diritto a interventi chirurgici per allineare il corpo alla propria identità; se si potessero sposare, avere figli o adottarli.
Sul podio troviamo Spagna con 81 punti su 100, seguita da Svezia (77), Argentina e Canada (76): decima posizione per gli USA (66), mentre l’Italia è 13esima con 63 punti, meno di molti paesi europei ma anche dell’India (68) dove il dibattito è molto acceso.
Il paese sta infatti discutendo una legge per dare protezione alla comunità transgender che conta almeno 1,25 milioni di persone e in particolare alle hijra, la più antica comunità di donne indiane transgender, che ha subìto pesantissime discriminazioni durante l’era coloniale. Nel 2014 la Corte Suprema ha stabilito che il governo indiano deve eliminare ogni discriminazione su identità sessuale e tutelarle nel mondo del lavoro e nella società, garantendo l’accesso ai servizi sociali. Il premier Narendra Modi ha introdotto una legislazione un po’ blanda, contestata dagli attivisti che chiedono vere tutele, ma è comunque un primo passo importante per il paese.
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