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Donald Trump presidente: le prime mosse alla Casa Bianca per smantellare l’America di Obama

Tre ordini esecutivi che chiariscono la linea politica di Donald Trump da Presidente degli Stati Uniti e che iniziano a cancellare l’America di Barack Obama con un tratto di penna. A tre giorni dall’insediamento ufficiale alla Casa Bianca, il tycoon ha preso le prime decisioni che indicano la direzione verso cui andranno gli Stati Uniti con lui al comando: protezionismo e conservatorismo. Circondato dai suoi più fedeli collaboratori, a iniziare dal tanto discusso Steve Bannon, Trump ha firmato gli ordini esecutivi per cancellare il TPP e far uscire dal trattato gli Stati Uniti, dopo anni di mediazioni diplomatiche della precedente amministrazione, togliere i fondi federali per le Ong internazionali che praticano l’aborto e congelare le assunzioni da parte del governo federale, escludendo solo le forze armate.

Le decisioni di Trump rientrano a pieno titolo nella linea politica che lo ha portato fino alla Casa Bianca. Nulla di cui stupirsi dunque: chi lo ha votato, lo ha fatto perché convinto che la sua visione del mondo e dell’America fosse giusta. Non stupiscono neanche gli attacchi ai diritti civili che le associazioni denunciano fin dal suo insediamento: che il miliardario showman non fosse particolarmente interessato a ogni genere di minoranze era chiaro e lampante. Le sue prime scelte sono un messaggio politico: addio agli USA liberali e dai mille colori dell’era Obama, con lui al comando l’America cambia secondo le sue regole.

Il primo atto, e il più discusso a livello internazionale, è il decreto che blocca l’ingresso degli Stati Uniti nel TTP, il Parternariato Trans-Pacifico a cui Obama ha lavorato a lungo con più di due anni di discussione tra le diplomazie dei 12 paesi coinvolti. L’ex presidente aveva raggiunto l’accordo ma il Congresso doveva ratificarlo: in questo lasso di tempo è arrivato Trump che ha firmato il ritiro. Il neo presidente con questa mossa conferma una promessa fatta in campagna elettorale ma, per assurdo, fa un favore alla Cina che si era sempre opposta all’accordo perché estromessa e che ora può portare avanti il suo disegno di un accordo alternativo con Pechino al centro. “Senza gli USA il TPP non ha senso”, è stato il commento arrivato dal governo giapponese.

Il secondo decreto firmato da Trump riguarda l’aborto, con la reintroduzione delle “Mexico City abortion rules” che comporta il taglio dei fondi federali per le Ong internazionali che praticano l’aborto o che solo fanno informazione sull’interruzione di gravidanza. Non è però una novità: il testo fu annunciato a Città del Messico in occasione della conferenza delle Nazioni Unite e porta la firma dell’ex presidente Ronald Reagan che lo rese operativo negli States dal 1985. Tutti i presidenti repubblicani lo hanno confermato, mentre tutti i democratici lo hanno eliminato: lo fece Bill Clinton all’epoca, così come Obama otto anni fa (la firma risale al 23 gennaio 2009). Trump dunque non ha fatto nulla di diverso da quello già visto in passato.

Trump mostra la firma sul decreto che porta gli USA fuori dal TPP

In linea con la politica di tagli alla spesa pubblica, Trump ha inoltre firmato il decreto che congela le assunzioni da parte del governo federale con la sola eccezione delle forze armate.

Una delle primissime mosse da presidente, arrivate a 24 ore dall’insediamento ufficiale, riguarda l’Obamacare che Trump ha smantellato con una sola firma. L’ordine esecutivo del decreto riduce la portata della riforma sanitaria con lo scopo di “alleggerire il peso”, invitando gli organi federali a operare per tagliare i costi a carico del pubblico e a “creare un mercato di assicurazione sanitaria più libero e aperto”. Oltre 20 milioni di americani che hanno beneficiato della riforma sono ora a rischio.

A cambiare è anche il volto istituzionale del governo americano, a partire dal sito della White House. A poche ore dall’insediamento è sparita la versione in spagnolo delle diverse sezioni, pur essendo la seconda lingua parlata negli States. Scomparse anche le pagine sui diritti LGBT, grande conquista dell’amministrazione Obama, e quella sulla lotta al cambiamento climatico. Ora le sezioni sono dedicate alle politiche di Trump: niente più “climate change”, spazio a un deciso “America First Energy Plan”.

Altro colpo di spugna all’amministrazione Obama arriva con la firma sul decreto per la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL che per anni ha diviso il paese in un acceso dibattito tra le necessità energetiche del Paese e le esigenze ambientali. Confermata anche l’altro progetto fermato dal suo predecessore, il gasdotto Dakota Access, previsto in North Dakota in un territorio sacro per i Sioux. La realizzazione di queste opere sono contestate da tempo, in particolare la DAPL (Dakota Access Pipeline), che rischia di contaminare le acque del territorio Sioux: la protesta dei gruppi #NODAPL ha unito tutte le tribù dei nativi per la prima volta nella storia. Obama ne aveva fermato la realizzazione come uno degli ultimi atti di governo: a dicembre la Army corps of engineers aveva annunciato di non voler autorizzare la costruzione del DAPL per il grave impatto ambientale che avrebbe sul territorio. A sostegno delle proteste erano scesi anche 2mila veterani che, in un video toccante, avevano chiesto scusa per le atrocità commesse contro i nativi, nonostante il loro servizio nell’esercito USA.

L’amministrazione Trump è quella che conta la maggior presenza di maschi bianchi dai tempi di Ronald Reagan. Dopo le scelte di Obama, che aveva una squadra di governo molto composita, con tutte le maggiori etnie rappresentate e con donne anche in posizioni importanti (citiamo Hillary Clinton come Segretario di Stato), Trump si è circondato di uomini bianchi, con un solo afroamericano, il dottor Ben Carson, Segretario all’Edilizia e allo Sviluppo Urbano (e non alla Salute, come sarebbe stato normale vista l’alta qualifica del neurochirurgo pediatrico). Per la prima volta da decenni non c’è neanche un ispanico. Quattro le donne: Elaine L. Chao, a capo del Dipartimento dei Trasporti, originaria di Taiwan, ed ex Segretario al lavoro sotto la presidenza di George W. Bush; Betsy DeVos all’Educazione; Nikki R. Haley, prima donna di origine indiana in un’amministrazione americana, ambasciatrice presso le Nazioni Unite; Linda McMahon, ex a.d. della World Wrestling Entertainment, al dipartimento che si occupa delle PMI.

Lorena Cacace

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