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Quote rosa della camorra, donne spietate che detengono il potere criminale, gesticono i clan con pugno di ferro. Il ruolo delle donne nella camorra non è solo quelle di comprimarie, compagne, mogli e madri: la criminalità campana ha sempre avuto donne di potere al comando e non è un caso che la prima condannata per associazione mafiosa sia Anna Mazza, vedova del padrino di Afragola, a capo di un impero malavitoso tra i più potenti. La camorra al femminile ha caratteristiche specifiche che la distinguono dalle donne della mafia o della ‘ndrangheta. Veri e propri boss che tirano le fila economiche e finanziarie delle famiglie, sono capaci di usare violenza anche di persona e sono i pilastri del potere malavitoso, non semplici complici.
Il fenomeno delle donne di camorra è emerso specialmente negli ultimi dieci anni, ma la loro presenza è sempre stata attiva. Le ultime grandi indagini nella zona del napoletano e del casertano hanno scoperchiato un vaso di Pandora tutto al femminile. Con gli uomini del clan agli arresti, sono le mogli o le parenti che prendono in mano la gestione degli affari come unica voce al vertice. Non si limitano a fare da tramite tra gli uomini dietro le sbarre e il territorio: diventano la guida del clan, prendendo decisioni a tutti i livelli. Il procuratore aggiunto di Napoli, Rosario Cantelmo, conosce bene il fenomeno e non esita a dire che “a differenza di anni fa, sono molto più partecipi alle decisioni e sorti della cosca alla quale appartengono”.
Le indagini della Dda di Napoli hanno fotografato l’evoluzione dell’universo femminile della camorra. Tra i primi a segnalarlo fu il Bollettino dell’Osservatorio sulla camorra nel 2006 tramite le parole di Raffaele Marino, oggi procuratore reggente di Torre Annunziata. “Non credo sia un’esagerazione affermare che per ogni donna attiva all’interno dell’organizzazione criminale all’inizio degli anni Novanta, oggi ce ne siano almeno dieci”, spiega il magistrato che ha coniato il termine “capesse”.
Tutto ruota intorno alla famiglia: secondo uno studio dell’Università Federico II di Napoli, condotto da Gabriella Gribaudi e Marcella Marmo, le camorriste sono nel 36% dei casi mogli di un boss, il 9,5% vedova, il 9,1% compagna, il 5% l’amante, il 4,5% ex moglie, il 4,5% ex compagna, per il resto sorelle, zie, nipoti, cugine, nuore e suocere. Un’inchiesta della procura di Torre Annunziata del 2012 ha scoperto come le donne usassero il loro corpo per lo spaccio di droga, nascondendo le sostanze fingendosi incinta o usando la gravidanza come scusa per evitare le perquisizioni.
Le donne di camorra sono più potenti delle loro rispettive nelle altre criminalità. La mafia relega le donne a ruoli di comprimarie, di compagne di vita dei boss, unici detentori del potere e con rarissimi casi di “supplenza” (da citare tra queste Giusy Vitale). La ‘ndrangheta vede molte figure femminili di spicco, anche a livello organizzativo, con nonne e madri a reggere le fila del traffico di stupefacenti, ma fuori dal vertice del comando. Le camorriste invece sono “manager”, come scrisse Roberto Saviano nell’articolo “Manager in rosa, matriarcato della camorra”.
Quello che emerge dalla letteratura sul fenomeno è che le camorriste hanno sempre avuto un ruolo centrale nelle organizzazioni criminali per il controllo dell’aspetto economico e finanziario degli affari. Sono loro che gestiscono il traffico di droga e stupefacenti, la voce più grande nell’economia camorristica, che non esitano a prendere in mano il controllo del racket, che fanno investimenti e prendono decisioni. Sanno usare la loro femminilià per portare avanti gli affari, nascondendo la droga sotto il pancione, usando le case per tagliare e smistare le droghe, incontrando gli affiliati e organizando le compravendite. Gli uomini sono il braccio, le donne la mente.
Anna Mazza detiene il triste primato di prima donna arrestata per camorra. Vedova di Gennaro Moccia, boss di Afragola, alla sua morte prende in mano le redini del potere. “La vedova della camorra”, come venne ribattezzata, ha gestito dagli anni Settanta gli affari della famiglia: quando negli anni Novanta venne spedita in soggiorno obbligato a Treviso, secondo gli inquirenti prese contatti con la mala del Brenta per ingrandire il dominio e il potere del clan.
L’unica regola alla base del dominio femminile nella camorra è la fedeltà: fedeli al marito, alla famiglia e al clan, le donne hanno pagato duramente il loro tradimento. È stato il caso di Antonella Madonna, moglie del boss di Ercolano Natale Dantese e nota come “Lady Camorra”, la prima donna pentita della criminalità campana. Una storia d’amore clandestina, scoperta dagli affiliati del clan, mentre lei gestiva i traffici con il marito in carcere: la decisione di punirla duramente, con un agguato in piena regola, “uccisa a mazzate”, riempita di botte. A scoprire il tradimento la figlia che non esita a rivelarlo ai nonni. Non può essere perdonata e, dopo la violenza, la solitudine. Lady Camorra viene lasciata sola dal clan, allontanata da tutti i vertici di potere, esclusa. Da qui la scelta di pentirsi, diventando la prima, e al momento, unica collaboratrice di giustizia nella camorra.