Israele nella notte ha condotto un nuovo attacco missilistico contro obiettivi nei pressi di Damasco, capitale della Siria. Secondo quanto riferito dall’agenzia governativa siriana SANA, che ha citato fonti militari, due soldati sarebbero rimasti feriti nel bombardamento e si registrerebbero danni materiali.
Gli attacchi israeliani nei confronti delle milizie sostenute dall’iran stanziate in Siria non è di certo una novità così come non lo è anche la tanto decantata lotta di Israele contro il terrorismo islamico, supportata e appoggiata dagli Stati Uniti. Washington ha dichiarato di recente che, secondo la Camera statunitense il governo israeliano non è ritenuto responsabile di azioni terroristiche contro Palestina e Cisgiordania. Questo a seguito di un confronto che ha raggiunto la maggioranza nell’appoggiare le azioni di Israele.
Proprio nel momento in cui sono stati attuati i nuovi raid contro la Siria il presidente israeliano Herzog incontrato il capo di Stato usa Biden dopo mesi di gelo diplomatico, causato dalle scelte, soprattutto interne intrapresa dal governo e in particolar modo riguardo all riforma giudiziaria israeliana, m anche a seguito della scelta fatta dal premier Netanyahu, che ha approvato nelle scorse settimane la richiesta avanzata dalla coalizione dei ministri che lo supportano, un progetto per molti nuovi insediamenti israeliane in Cisgiordania.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione con base nel Regno Unito, ha affermato che il raid rappresenta il ventesimo attacco aereo condotto da Israele in territorio siriano soltanto dall’inizio di quest’anno.
Durante la notte del 19 luglio velivoli militari appartenenti a Israele avrebbero lanciato i razzi dal Golan occupato, prendendo di mira infrastrutture militari alle porte di Damasco. La contraerea siriana sarebbe però riuscita a intercettare e abbattere gran parte dei missili, scongiurando danni ancora maggiori.
Israele motiva queste periodiche incursioni con l’esigenza di colpire milizie filo-iraniane ai confini, ma Damasco accusa Tel Aviv di violare sistematicamente la propria sovranità e di aggravare il conflitto siriano.
Una situazione complicata che vede all’interno di queste disputa anche gli storici alleati dei funzionari israeliani ovvero gli Stati Uniti. Nonostante le divergenze sorte negli ultimi mesi, come sopra citato, causate dalla riforma legislativa di Israele che priva l’alta Corte della propria imparzialità e concede la classe politica la nomina dei giudici e fondamentalmente vieta anche a l’unico organismo al di sopra delle istituzioni statali di giudicare e contestare una scelta presa dal governo, sembra non incidere però sulla collaborazione ormai viva da molti anni nel combattere il terrorismo islamico chi è principalmente sostenuto dall’iran.
Secondo quanto riferito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, che dispone di una rete di fonti sul campo, gli attacchi condotti nella notte avrebbero preso di mira in particolare postazioni militari nei pressi dell’aeroporto della città di Dimas e lungo l’autostrada Beirut-Damasco. In quest’ultima area, ad ovest della capitale, sarebbero di stanza unità d’elite dell’esercito siriano.
Stando all’organizzazione con base nel Regno Unito, i missili avrebbero inoltre colpito depositi del gruppo armato libanese Hezbollah, alleato di Damasco, provocando un incendio.
Negli ultimi anni lo Stato ebraico ha effettuato centinaia di incursioni aeree all’interno della Siria, ufficialmente per colpire obiettivi iraniani e miliziani ritenuti una minaccia per la propria sicurezza. Tuttavia raramente Israele rivendica apertamente la responsabilità di questi attacchi.
Secondo quanto riferito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, che dispone di una rete di fonti sul campo, gli attacchi condotti nella notte avrebbero preso di mira in particolare postazioni militari nei pressi dell’aeroporto della città di Dimas e lungo l’autostrada Beirut-Damasco. In quest’ultima area, ad ovest della capitale, sarebbero di stanza unità d’elite dell’esercito siriano.
Stando all’organizzazione con base nel Regno Unito, i missili avrebbero inoltre colpito depositi del gruppo armato libanese Hezbollah, alleato di Damasco, provocando un incendio.
Negli ultimi anni Israele ha effettuato centinaia di incursioni aeree all’interno della Siria, ufficialmente per colpire obiettivi iraniani e milizie ribelli ritenute una minaccia per la propria sicurezza.
Nonostante la Siria sia attraversata da oltre undici anni da una crisi interna profonda, che ha visto l’intervento del presidente russo Putin per proteggere il regime di Assad, che è tutt’ora alla guida della Nazione, ma anche da una crisi sociale ed economica che ha messo in ginocchio la popolazione siriana, Israele e gli Stati Uniti proseguono nel colpire ripetutamente gli obiettivi ritenuti caldi come basi militari, magazzini di armi e tutto ciò che può rallentare l’espansione e gli attacchi da parte delle milizie filoiraniane.
Il Pentagono ha annunciato nei giorni scorsi l’invio di rinforzi militari nell’area del Medio Oriente, in risposta ai recenti nelle strategiche vie d’acqua regionali.
Un funzionario della Difesa Usa ha riferito che il Segretario Austin ha scelto di approvare un nuovo dispiegamento di velivoli militari F-35 e F-16, oltre al cacciatorpediniere USS Thomas Hudner, nella zona di cui è responsabile il Comando Centrale Usa.
La missione è volta a “difendere gli interessi americani e salvaguardare la libertà di navigazione” e punta a trasferire nell’area alcuni dei velivoli più avanzati dell’arsenale Usa, tra cui l’F-35 stealth di quinta generazione.
Si tratta di un deciso rafforzamento della presenza militare a stelle e strisce in Medio Oriente, a seguito delle crescenti tensioni con Teheran sul fronte navale. Gli USA ribadiscono così la determinazione a mantenere aperte e sicure le rotte strategiche nella regione.
La vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha motivato la decisione di inviare rinforzi militari citando due recenti episodi di molestie iraniane contro navi commerciali nello Stretto di Hormuz e nel Golfo di Oman. Singh ha spiegato che, alla luce di questa “minaccia continua”, gli Stati Uniti intendono potenziare capacità di sorveglianza e deterrenza nell’area.
Secondo Singh, alcuni velivoli sarebbero già in viaggio verso la regione per un dispiegamento a tempo indeterminato. Le nuove forze si andranno ad aggiungere a quelle già presenti sul posto dall’inizio dell’anno per scoraggiare le provocazioni iraniane.
I due incidenti all’inizio del mese, in cui Teheran ha tentato di sequestrare petroliere in acque internazionali, sono solo gli ultimi di una lunga serie di atti ostili che hanno esasperato Washington e i suoi alleati. Dal 2021 le forze iraniane hanno attaccato o sequestrato quasi 20 navi straniere stando ai dati della Marina USA.
Gli Stati Uniti ribadiscono quindi con questa mossa la ferma intenzione di mantenere aperte e sicure le rotte navali strategiche in Medio Oriente, cruciali per il commercio globale.
Secondo funzionari della Marina, a metà maggio gli Usa avevano già incrementato le attività di sorveglianza nell’area dello Stretto di Hormuz, snodo strategico per il traffico navale, dopo aver riscontrato un aumento delle azioni ostili iraniane.
La portavoce del Pentagono Singh ha ribadito come queste “azioni destabilizzanti” da parte di Teheran minaccino la libertà di navigazione in una rotta vitale per gli approvvigionamenti energetici globali.
Le tensioni tra Washington e Teheran sono presenti e da tempo. Le autorità statunitensi accusano l’Iran di minare la sicurezza in Medio Oriente e di colpire anche militari americani, come successo di recente in Siria.
Per questo all’inizio dell’anno jet da attacco A-10 erano stati inviati nell’area per scoraggiare le attività di disturbo iraniane.
Inoltre, con raid frequenti gli Stati Uniti bloccano imbarcazioni che contrabbandano armi dall’Iran allo Yemen, confiscato ingenti quantitativi di equipaggiamenti militari. L’ultimo dispiegamento di rinforzi segnala quindi la ferma determinazione americana a frenare le provocazioni iraniane che mettono a rischio la stabilità regionale.
Il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov, inviato speciale del presidente Putin per il Medio Oriente e l’Africa, ha definito illegale la pre0senza militare statunitense in Siria, affermando che rappresenta una minaccia per l’integrità territoriale siriana.
In una dichiarazione, Bogdanov ha accusato Washington di sfruttare il pretesto della lotta al terrorismo per dispiegare le proprie forze a est dell’Eufrate e controllare aree della Siria ricche di risorse energetiche. Gli Usa secondo Mosca appoggerebbero inoltre le fazioni curde, violando la sovranità siriana.
Sul dossier profughi, il diplomatico russo ha sottolineato la necessità di uno sforzo internazionale per affrontare una questione complessa, legata anche alla ricostruzione delle infrastrutture distrutte.
Commentando il recente summit della Lega Araba che ha visto la partecipazione di Assad, Bogdanov lo ha definito un passo positivo verso una soluzione della crisi siriana e il ritorno dei rifugiati.
La Russia ha ribadito così il proprio sostegno ad Assad e critica la presenza militare americana in Siria, ritenendola un fattore di destabilizzazione.
Mosca sostiene il regime di Assad e spinge insieme ad esso per escludere le forze Usa dal territorio. Va sottolineato che le uniche due Nazioni che hanno appoggiato Assad nel post terremoto, che ha colpito Siria e Turchia, sono state Russia e Iran, pertanto il capo di Stato siriano deve molto ai suoi unici alleati.
Israele ha come finalità quella di eliminare la minaccia iraniana in Medio Oriente e attacca le sue milizie sia In Libano che in Palestina con il focus di eliminare sia Hezbollah in territorio libanese, notoriamente sostenuto da Teheran, ma anche la jihad islamica responsabile degli attacchi attuati nei confronti del popolo israeliano. Nonostante Washington si sia scagliato contro la ferocia utilizzata dal governo israeliano nei raid di jenin e nablus e più in generale nei contrasti con il popolo palestinese, ha anche ritenuto che Israele non possa essere definito come un paese razzista.
La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato martedì, con schiacciante maggioranza, una risoluzione per ribadire che Israele non è uno “stato razzista” e ha successivamente condannando l’antisemitismo.
Una mossa del Partito Repubblicano volta a dividere i Democratici, alle prese con crescenti spaccature interne su Israele.
Il testo è passato con 412 voti a favore, 9 contrari e 1 astenuto. Tra i democratici contrari figurano Rashida Tlaib, Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar e altri esponenti progressisti. La deputata Pramila Jayapal, i cui recenti commenti avevano innescato la reazione repubblicana, ha invece votato sì.
La risoluzione, presentata dal repubblicano August Pfluger, afferma che “Israele non è uno stato razzista o di apartheid” e che “gli USA saranno sempre un partner leale di Israele”. Un chiaro segnale bipartisan contro certe frange critiche del partito democratico.
I leader democratici alla Camera avevano già preso le distanze dalle dichiarazioni di Jayapal, ribadendo in una nota congiunta che “Israele non è uno stato razzista” e che l’impegno per la sua sicurezza resta “incrollabile“.
Anche martedì, in conferenza stampa, il dem Aguilar ha sottolineato “l’unità del gruppo democratico” e la “relazione speciale” tra USA e Israele, preannunciando una forte partecipazione dei democratici al discorso del presidente israeliano.
Dal canto suo, il capogruppo repubblicano Scalise ha applaudito la risoluzione, affermando la necessità di respingere l’antisemitismo ovunque si manifesti, anche tra alcuni membri del Congresso.
Messo alle strette sulla scelta di invitare come testimone il no-vax Kennedy Jr., accusato di antisemitismo, Scalise ne ha preso le distanze pur senza rinunciare all’audizione.
La risoluzione riflette comunque la volontà bipartisan di ribadire il sostegno a Israele, nonostante crescenti spaccature tra democratici progressisti e moderati sulla questione.
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