Cos’è accaduto a Cutro davvero a quei migranti che hanno perso la vita? Questa è una domanda che si stanno ponendo tantissime persone da ormai precisamente dodici giorni. Che la tragedia si potesse evitare è chiaro a tutti, ma ecco le ultime dichiarazioni di chi avrebbe dovuto intervenire ma non lo ha fatto.
Cos’è accaduto davvero a Cutro? I migranti si potevano salvare? Dov’è stato l’errore? Queste sono le domande che da ormai dodici giorni rimbombano nella testa di tantissime persone. La tragedia ha indignato un Paese intero, che si sta domandando ancora oggi perché si sia verificata e, soprattutto, perché nessuno ha impedito che ciò accadesse.
C’è da dire che di tasselli se ne aggiungono innumerevoli ogni giorno, ma il puzzle continua a non essere mai completo al 100%: la sensazione è che ne manchi sempre uno, come se questa storia non possa avere un finale delineato e certo. L’ultima novità – in ordine cronologico, si intende – è questa: pare che per il centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma la barca segnalata dall’aereo di Frontex non stesse trasportando migranti. Eppure sappiamo benissimo che non è così: sulla quel caicco ce ne erano tanti (pare che il numero sia compreso tra 150 e 180), ma di questi la maggior parte sono morti.
Per comprendere meglio, però, dobbiamo tornare a quella fatidica notte. Era fine febbraio, precisamente un sabato sera. A Cutro ad un tratto parte un allarme: l’aereo Eagle1 di Frontex individua una barca a 40 miglia dalle coste calabresi (anche se questo è un punto ancora oggi controverso, perché secondo Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale, era partito un primissimo allarme circa16 ore prima, ma all’alert non era corrisposta la posizione esatta dell’imbarcazione, che quindi non era stata soccorsa per ovvi motivi).
Quello che è certo, invece, è che uno scafo veloce V.5006 della sezione navale di Crotone appartenente alla Guardia di finanza ha provato a raggiungere la barca, dopo aver ricevuto il succitato segnale. A provarci è stato anche il pattugliatore Barbarisi – del gruppo aeronavale di Taranto – e specifichiamo sempre “provarci” perché nessuno di loro ci è riuscito: le condizioni di mare erano troppo difficili per rendere l’operazione fattibile, almeno così almeno ha affermato il Roan di Vibo Valentia.
Quello che è successo dopo è risaputo: l’imbarcazione è finita su una secca a circa 150 metri dalla riva, che l’ha distrutta, i migranti sono morti e non c’è stato ormai più nulla da fare, nonostante le operazioni siano continuate anche dopo.
Nel frattempo l’inchiesta va avanti: c’è da capire di chi esattamente sia la responsabilità. Per avere un quadro della situazione più chiaro, però, non possiamo non prendere in esame la ricostruzione, minuto per minuto, fornitaci dal Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto.
Secondo la ricostruzione del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, tutto sarebbe partito precisamente alle 20:51 di venerdì 24 febbraio. Quello è l’orario in cui sarebbe partita la prima segnalazione di mayday. A mandarla sarebbe stata la Capitaneria di Porto di Roccella Ionica, ma a quanto pare le conseguenze non sarebbero state affatto quelle sperate.
Intorno alle 23:03 poi la segnalazione da Frontex, che avrebbe individuato un’imbarcazione ritenuta “sospetta” e avrebbe allertato l’MRCC Roma, il centro di coordinamento di ricerca e soccorso della Guardia costiera. Quest’ultimo poi, esattamente 31 minuti dopo, cioè alle 23:34, avrebbe contattato la sala operativa della Guardia Costiera di Reggio Calabria. Qui arriva un problema serissimo, che potrebbe spiegare (quasi) tutto: nella mail si legge chiaramente “non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio”. Non si evidenziano elementi riconducibili al fenomeno migratorio quindi, eppure qualcosa non torna, perché di fatto quelli presenti su quella barca erano tutti migranti.
Continuando a leggere, nella stessa mail, c’è scritto: “i dati disponibili sono di una barca a motore, di medie dimensioni, che naviga con rotta 296 gradi a 6 nodi. In coperta è visibile solo una persona anche se risulta possibile che ci siano altre persone sottocoperta”. Come poteva sembrare che ci fosse solo una persona a bordo, quando sappiamo bene che ce n’erano (almeno) 150? E qui si apre un altro dilemma: nella relazione scritta dalla Guardia Costiera dopo la segnalazione da parte di Frontex si parlava esplicitamente di “un’imbarcazione sospetta in quanto, a seguito di un’analisi svolta con i sistemi presenti a bordo dell’aereo Eagle 1, si registrava un flusso di chiamata dalla barca verso la Turchia e venivano rilevate risposte termiche dai boccaporti”. Anche in questo caso qualcosa non torna, è chiaro.
A ciò si aggiunge che, quando la Guardia Costiera rinviene una barca qualsiasi che trasporta migranti e che non può contare su personale competente a bordo, deve considerarla – a prescindere dal suo “comportamento – in distress e, quindi, deve soccorrerla. Certo, in questo caso pensava che non ci fossero migranti a bordo, qualcuno potrebbe obiettare, quindi nulla doveva fare. Ma su questo non possiamo mettere la mano sul fuoco, troppe cose non tornano. Ma andiamo avanti e cerchiamo di arrivare quantomeno a un punto.
Secondo quanto dichiarato dalla Guardia costiera alla Procura, quindi, la segnalazione di Frontex non lascia presagire alcuna richiesta di aiuto (?). Sembrava che quindi tutto stesse andando esattamente come doveva andare, anche se ormai sappiamo benissimo che non è affatto così.
Da qui, tutte le tappe (molte delle quali le conosciamo già): la Guardia di Finanza ha comunicato di aver avviato un’operazione di law enforcement – quella che in genere viene avviata per traffici illegali, che differisce da quella di search and rescue, perché la prima è un’operazione di polizia e quindi prevede il soccorso della Guardia di Finanza, mentre per la seconda è responsabile la Guardia Costiera – e, per questo motivo, ha intrapreso tutte le dovute procedure che sono continuate fino al mattino successivo, mentre le motovedette della Guardia costiera di Reggio Calabria, allertate dalla sala operativa, non hanno mai lasciato il porto.
Arriviamo alle 3:48: quella è l’ora che potremmo definire clou, perché segna l’esatto momento in cui i mezzi della Guardia di Finanza hanno dovuto demordere a causa del maltempo. Del resto, non erano preparati a un’emergenza simile. Lo sarebbero stati quelli della Guardia Costiera – che in pratica non possono affondare – peccato che però il modo in cui è stata inquadrata l’operazione ha impedito qualsiasi intervento da parte sua. Ma bando alle ciance, perché quello che ci interessa comprendere è quello che hanno confermato i due corpi.
Sì, perché la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera sono d’accordo su un punto: non vi erano elementi di criticità. E questo significa che non erano tenuti a fare più di quello che hanno fatto.
Ma andiamo ancora avanti e arriviamo alle 4:20. Il naufragio è ormai avvenuto, il danno è fatto, l’imbarcazione è ormai spezzata a metà. Qui parte una catena, che potremmo paragonare a un telefono senza fili in cui non si è mai sicuri che l’ultimo abbia capito esattamente cosa intendeva il primo: la Guardia di Finanza ha avvertito i Carabinieri, che a loro volta hanno allertato la Capitaneria di Porto di Crotone. Il succo del loro discorso era che secondo loro l’imbarcazione trasportava “migranti irregolari e che la vedetta Gdf stava rientrando per avverse condizioni meteo”. Nel frattempo, però, il caicco si era già schiantato e i migranti erano in mare. E in tutto ciò la Guardia Costiera non sapeva nulla.
Le domande oggi restano. Nulla sembra essere limpido, tranne la acque calabresi che hanno “accolto” e poi distrutto quella barca. Dov’è la verità? Probabilmente in quel mare che ha causato la morte di tutti quei migranti. E probabilmente non la scopriremo mai.
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