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Dov’è finita l’umanità? Non sui social sicuramente, lo dimostra la vicenda di Paola Caruso

Paola Caruso ha un figlio di neanche quattro anni (li compirà a marzo) che non può camminare e non sa se e quando potrà farlo. La genesi di questa tragedia affonda le radici in un viaggio compiuto a novembre in Egitto e alla sua scelta di fidarsi del medico del posto e chi sa quale senso di colpa proverà quotidianamente per questo. Eppure, nonostante tutto questo, il web le si sta scagliando contro, anziché provare empatia per lei e la sua storia. Davvero è giusto riversare il proprio odio represso sui social e sprecare le proprie energia per criticare chiunque?

Paola Caruso – Nanopress.it

Probabilmente i social non stanno giovando a un’umanità privata così della vera socializzazione. Anzi, stanno cacciando il peggio da moltissime persone: del resto, è facilissimo nascondersi dietro uno schermo e vomitare così tutto il proprio odio represso, la propria rabbia, la propria frustrazione. Il caso di Paola Caruso ci ha insegnato proprio che il mondo del web è abitato da persone completamente incapaci di provare empatia, di tendere una mano, di comprendere gli altri nel senso profondo del termine.

La storia di Paola Caruso e di suo figlio Michele

Che i social siano uno strumento “di tortura” (perdonate questa esagerazione, ma è l’unico modo per rendere l’idea davvero) è ormai risaputo. C’è chi entra su Instagram sicuro di sé ed esce con un’autostima bassissima a causa dei troppi filtri alternati a Photoshop che la maggior parte degli utenti usa, chi vorrebbe trovare lì una parola di conforto e invece si trova pugnalato da ogni lato da chiunque, chi vorrebbe usarli come svago e invece si trova immerso in un mare di odio, cattiveria, frustrazione. Insomma, quelli che sarebbero dovuti essere dei mezzi per collegare –  dal latino cum cioè “legare insieme” – le persone sono diventati ormai il Muro di Berlino del mondo moderno (e perdonateci anche per questo paragone infelice, ma non potevamo trovare altri mezzi per esprimere meglio il concetto).

Lo avevamo capito già ai tempi dell’operazione di Bianca Balti che i social fossero il posto peggiore su cui riversare i propri problemi personali (per chi se lo fosse perso, ecco cos’era accaduto), ma questa volta è diverso. Questa volta la protagonista di un’altra triste vicenda non ha chiesto alcun supporto su Instagram et similia, ha semplicemente raccontato la sua storia in una trasmissione televisiva, sperando di trovare conforto e di insegnare qualcosa alle mamme spettatrici. E invece ha trovato solo una valanga di critiche (immotivate). Parliamo ovviamente di Paola Caruso, la cui vicenda sta facendo il giro del web (lo stesso che le si è scagliato contro, si intende).

Per comprendere cos’è accaduto però dobbiamo tornare a novembre del 2022, a quando cioè risale la genesi del suo (gravissimo) problema personale. Anzi no, torniamo prima al 2018, anno in cui ha scoperto di essere incinta di suo figlio. La showgirl, famosa soprattutto per il suo ruolo di bonas ad Avanti un altro e per quello di opinionista nei vari programmi condotti da Barbara D’Urso, fa coppia fissa con l’imprenditore Francesco Caserta da diversi mesi. Quando scopre di aspettare un bambino sembra che il padre sia contentissimo, esattamente quanto lei.

Ad un tratto, però, qualcosa va storto: Francesco a Paola si lasciano, lui decide di non prendersi cura del bambino e va avanti con la sua vita come se nulla fosse cambiato, mentre lei mette il mondo il frutto del loro amore e sceglie scientemente di crescerlo da sola. Completamente sola, sì, perché sua madre – adottiva – è anziana e vive in Calabria, a centinaia di chilometri cioè da Milano, dove vive lei con il piccolo (quando aveva solo pochi mesi però fortunatamente la sua madre naturale si mise in contatto con lei e iniziarono a recuperare un rapporto, anche se di problemi anche loro ne hanno avuti non pochi nel corso del tempo, ma questa è un’altra storia e non è questa la sede opportuna in cui raccontarla).

Passano tre anni e mezzo, nel frattempo il “padre” – le virgolette sono doverose perché il vero padre non è chi ti mette il mondo, sia chiaro – continua a non curarsi affatto del bambino, ma Paola è forte, ama follemente Michele (Michelino per gli amici), è determinata a crescerlo nel migliore dei modi e ci riesce anche. Finalmente ormai i due hanno il loro equilibrio e poi lei ormai ha due mamme, quella adottiva e quella naturale, quindi il piccolo ha due nonne, che è un’enorme fortuna.

Arriviamo, come abbiamo anticipato, al novembre del 2022. La Caruso porta il figlio in vacanza in Egitto insieme alla tata e dei suoi amici. All’improvviso al piccolo sale la febbre, probabilmente per via dello sbalzo di temperatura (a Sharm el-Sheikh faceva molto caldo, mentre in Italia era già quasi inverno). Michelino è già di suo un po’ cagionevole, quindi Paola si preoccupa vedendo che gli antipiretici non hanno alcun effetto e che la febbre non accenna a scendere in alcun modo. Così decide di chiamare un medico.

Nella loro stanza d’albergo arriva un dottore. L’uomo parla arabo, ma la struttura fornisce alla showgirl un traduttore, quindi sembra che niente possa andare storto. Le dice che per far abbassare la febbre al bambino dovrà fargli una puntura. Lei è titubante, ma alla fine decide di lasciarsi alle spalle i dubbi e assecondare quella decisione. Del resto, chi è lei in confronto a un medico esperto? Si fida, si lascia convincere e quello è l’inizio della fine. “Non lo avessi mai fatto”, così ha commentato la stessa protagonista di questa triste vicenda durante la sua intervista a Verissimo, il programma condotto da Silvia Toffanin.

“Michelino ha gridato come mai aveva urlato nella sua vita. Dopo mezz’ora misuriamo la febbre, ma non scende. Gli dico di avvicinarsi a me, lui si alza dal letto e cade a terra. Non sentiva più la gamba, non la muoveva. Sono impazzita, mi si è spento il cervello”. Quello che era accaduto esattamente però lo scoprirà solo dopo: il giorno successivo, infatti, i due tornano in Italia e vanno immediatamente all’ospedale. Qui scoprono la dura verità: il medico aveva colpito con quella siringa il nervo sciatico di Michelino e lo aveva compromesso, ecco perché non riesce a camminare e in più aveva usato una sostanza che qui è illegale e questo complica ulteriormente il quadro, perché i medici nostrani, non essendo avvezzi a trattare quel tipo di sostanza, non sanno che conseguenze questa potrebbe avere su un bambino tra l’altro di meno di quattro anni.

Da quando sono rientrati in Italia, ormai un paio di mesi fa circa, in pratica Paola e Michele sono stati continuamente all’ospedale, ma il piccolo ad oggi cammina con un tutore, perché senza non riesce. La situazione quindi è questa: il processo di guarigione potrebbe essere lunghissimo, ma nessuno sa esattamente quanto. Nel frattempo la Caruso, che si trova a crescere da sola suo figlio, ribadiamolo, è distrutta, ma non può darlo a vedere al piccolo, già molto turbato per la vicenda, tanto che adesso piange alla sola vista degli ospedali e la notte fa gli incubi perché ha paura di non poter più camminare.

In tutto ciò, il “padre” del bambino ha chiamato solo un paio di volte Paola a novembre, per conoscere le sue condizioni e poi è sparito. Di nuovo. Neanche a Natale ha chiamato, né per sapere come stesse Michele, né per fare gli auguri. Nessun Babbo Natale quindi è arrivato dal piccolo per tirarlo su di morale, ma va bene così perché per Paola oggi è l’ultimo dei loro problemi e “solo una cosa è importante: la guarigione di Michelino”.

Questo è un quadro tragico, di una famiglia già distrutta in partenza, che si era risanata chissà come, aveva trovato il modo di sopravvivere senza uno dei componenti importanti come il padre, era riuscita a costruire un equilibrio magari “non convenzionale”, ma comunque neanche precario, e che si è trovata all’improvviso a combattere contro la malattia, la sofferenza fisica, ma anche quella psicologica.

Paola Caruso – Nanopress.it

Quando si tratta di bambini così piccoli poi la situazione è di gran lunga peggiore, perché pensare che un esserino di neanche quattro anni non possa camminare da solo, che non possa muoversi senza l’ausilio di un tutore, che debba fare i conti già così piccolo con la malattia, la paura, l’incertezza sul futuro, è un colpo al cuore. Anzi, dovrebbe esserlo, ma a quanto pare non tutti la vedono così.

L’agghiacciante reazione dei social

La storia di Paola Caruso insegna da un lato che fidarsi è bene non fidarsi è meglio, dall’altro che a volte che il detto “Paese che vai, usanza che trovi” non dovrebbe valere quando si tratta di salute. Al contempo, però, una cosa dovrebbe essere chiarissima a tutti: chi ha sbagliato non è stata la showgirl, che ha solo peccato di troppa fiducia, perché ha scelto di assecondare la proposta del medico, ma lo ha fatto solo ed esclusivamente per curare suo figlio, per proteggerlo, per tutelare la sua salute.

Chi ha sbagliato davvero è il dottore egiziano: potrebbe essere questo un caso – senza la presunzione di dare definizioni azzardate, dal momento che a farlo dovrebbero essere avvocati e giudici – di imperizia probabilmente (che, come ci spiega brevemente la Treccani, è letteralmente la “mancanza di abilità e di esperienza, soprattutto nelle cose che riguardano la propria professione”), oppure potrebbe essere inquadrato diversamente, ma comunque poco cambierebbe perché un errore di fondo deve esserci stato necessariamente.

Eppure il popolo dei social ha pensato bene di scagliarsi contro una donna sola, inerme, che sta cercando di combattere ogni giorno perché suo figlio possa tornare a camminare autonomamente e lo sta facendo senza l’aiuto di nessuno. E così, accanto a una fitta schiera di persone che hanno accusato la Caruso di aver ingigantito tutto solo per poter andare in tv, vi sono quelle che la additano come “cattiva madre” per aver portato il figlio in Egito in vacanza e quelli che invece sostengono che avrebbe dovuto chiamare il medico di fiducia italiano, oppure comunque comportarsi diversamente.

E così leggiamo commenti come “Fare le vacanze altrove no? Con tutti i posti belli che ci sono in Europa e in Italia vanno in posti dimenticati da Dio”, oppure “Poteva chiamare il pediatra di fiducia, se proprio proprio la febbre nn scendeva, poteva tornarsene a casa, io nn sarei di certo andata da un arabo”, oppure ancora “Io eviterei semplicemente di andare in certi posti con bimbi così piccoli. Bisognerebbe usare un po’ di cervello”.

Ma non finisce qui, perché c’è anche chi la critica per essere andata in tv a raccontare quello che le è accaduto: e così compaiono altri commenti come “Ora lo hai detto a tutti quindi? Tutto il mondo ha dei problemi ,ma non vanno in tv a raccontare” e “Tutti abbiamo dei problemi più o meno gravi ma non andiamo in tv si discutono nelle giuste sedi”.

Ma non finisce neanche qui, perché c’è anche chi è convinto che menta e lo esprime affermando che Paola sia finta oppure che abbia inventato tutto e non riesce a crederle.

Insomma il popolo del web si è scagliato contro di lei senza motivo, ancora una volta. Senza motivo sì, perché che ragione ci può essere per attaccare una madre che ha fatto quello che riteneva giusto per il figlio piccolo, ha commesso un errore di valutazione (cosa che capita tutti i giorni a chiunque di noi, solo che magari la maggior parte delle persone ha la fortuna di non mettere a repentaglio la salute del proprio figlio in questo modo) e ne sta pagando le conseguenze ogni giorno?

Paola Caruso ha raccontato questa vicenda in tv – e ha aspettato quasi tre mesi per farlo, fermo restano che solo poche settimane fa, dopo essere sparita dai social, aveva ammesso che il figlio aveva dei problemi seri di salute – probabilmente anche per aiutare altre persone a non commettere il suo stesso errore, per intimare loro di non fidarsi ciecamente di tutti i medici, di fare attenzione soprattutto quando non si capisce la lingua che parlano perché è bene avere tutte le informazioni prima di decidere cosa fare quando ci sono di mezzo bambini così piccoli la cui salute potrebbe essere compromessa per sempre. Questo – né nient’altro – non legittima le persone a muovere critiche gratuite senza fondamento, a commentare tutto quello che succede senza pensare che dall’altra parte ci possa essere una persona che legge, sa e sta male, a vomitare odio dietro uno schermo.

Bisognerebbe provare a immedesimarsi, bisognerebbe provare empatia, bisognerebbe provare a tirare fuori tutta la propria sensibilità davanti a episodi simili. Ma pochi lo fanno davvero, perché è più comodo usare i social per sfogare le proprie frustrazioni.

Vedere quotidianamente il proprio figlio di meno di quattro anni soffrire, non poter camminare, piangere per la paura, deve essere straziante. Ecco perché questa donna dovrebbe avere massima solidarietà, soprattutto alla luce che di dolore ne ha già provato tanto e che deve convivere ogni giorno con l’idea che suo figlio non abbia un padre.

Probabilmente se Paola Caruso potesse tornare indietro a tre mesi fa cambierebbe meta, oppure semplicemente non crederebbe alle parole del medico egiziano. Probabilmente se Paola Caruso potesse tornare indietro nel tempo chiamerebbe il suo medico di fiducia italiano, parlerebbe con lui e si farebbe prescrivere da lui una cura. Ma chissà che probabilmente se Paola Caruso potesse tornare indietro non racconterebbe più questa vicenda anche solo per non dover dare adito a questi (sgradevoli) commenti.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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