Il premier Mario Draghi è intervenuto durante il dibattito nel Consiglio europeo sulla legge approvata dall’Ungheria sui contenuti Lgbt per i minorenni.
Scontro sulla legge ungherese anti lgbtq+
Si sta svolgendo in questi giorni a Bruxelles il vertice dei capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Unione europea. Sul tavolo del Consiglio Ue la pandemia di Covid-19, la ripresa economica, la questione migranti, oltre ai rapporti con Russia e Turchia. Ma al centro della discussione anche il caso Ungheria, con la controversa legge che limita l’accesso dei giovani alle informazioni su lesbiche, gay, bisessuali e trasgender (Lgbtq+), definita “una vergogna” dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Draghi: in UE storia di oppressione dei diritti umani
“Spetta alla Commissione stabilire se l’Ungheria viola o no il trattato”. Durante il dibattito nel Consiglio europeo centrato sulla legge approvata dall’Ungheria sui contenuti Lgbt per i minorenni, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha ricordato al primo ministro Viktor Orban cosa prevedano i trattati che Budapest ha firmato entrando nell’Ue, e che è tenuta a rispettare. L’articolo 2 del Trattato UE, ha detto Draghi, esiste per un motivo ben preciso: l’Europa ha una lunga storia di oppressione dei diritti umani.
Draghi e 15 leader Ue: l’intolleranza non ha posto in Europa
Dopo il caso Ungheria sedici capi di Stato e di governo dell’Ue – inclusi Angela Merkel, Emmanuel Macron, Mario Draghi e Pedro Sanchez – hanno inviato una lettera ai vertici delle istituzioni Ue, in cui ribadiscono il loro impegno per la difesa dei valori fondamentali dell’Unione.
“In occasione della celebrazione del Pride day il 28 giugno, alla luce delle minacce ai diritti fondamentali e in particolare al principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale, esprimiamo il nostro attaccamento ai nostri valori fondamentali comuni sanciti dall’articolo 2 del trattato dell’Unione europea”, scrivono i sedici leader Ue, che tuttavia non citano esplicitamente le norme varate dall’Ungheria e ritenute discriminatorie.