Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna e candidato alla segreteria del Partito democratico, ha detto che i dem non possono più correre da soli. Da qua la domanda sorge spontanea: è possibile ancora un’alleanza con il MoVimento 5 stelle? La risposta non è semplice, anzi, e in parte la dà Paola Taverna, ex senatrice pentastellata e ora vicepresidente dello schieramento di Giuseppe Conte.
Se per le elezioni in Lombardia, infatti, si è riusciti a trovare un accordo con il movimento che sosterrà la candidatura di Pierfrancesco Majorino, non si può dire la stessa cosa per il Lazio in cui la situazione è decisamente più complicata dal fatto che il Pd abbia aperto le porte al terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, ma anche dalla questione termovalorizzatore. Anche a livello nazionale, in effetti, tra i motivi dell’allontanamento ci sono gli stessi temi che si sono visti per la corsa alla Pisana.
Prima di luglio dello scorso anno, le cose tra il Partito democratico di Enrico Letta e il MoVimento 5 stelle di Giuseppe Conte andavano a meraviglia. Insieme, i due schieramenti che sostenevano il governo di unità nazionale di Mario Draghi e, prima ancora, quello guidato proprio dal presidente dei pentastellati, avevano deciso di correre per le regionali in Sicilia, e sempre insieme avevano intenzione di presentarsi alle politiche che, se tutto fosse andato secondo i piani, si sarebbero dovute tenere proprio nel 2023.
La storia, i fatti ci hanno restituito altro nel momento in cui il gruppo dell’avvocato di Volturara Appula, con il pressing fatto da lui stesso, ha deciso di voltare le spalle all’esecutivo dell’ex banchiere centrale segnando anche la fine di un amore con i dem che durava, appunto, da settembre del 2019.
Nonostante, più volte, Letta abbia chiuso le porte all’M5s, però, la questione se tra i due schieramenti la situazione possa tornare come era un tempo – anche in funzione di un centrodestra che continua a macinare consensi – è sempre attuale. Innanzitutto perché, a breve – forse il 19 febbraio, o forse il 26 – finirà l’esperienza del deputato pisano alla guida dei dem, in secondo luogo, poi, perché le forze politiche si stanno preparando a due ulteriori tornate elettorali, in Lombardia e nel Lazio, che avranno luogo l’11 e il 12 febbraio.
Ecco, se per la corsa al Pirellone, Partito democratico e MoVimento 5 stelle hanno trovato un accordo, con i pentastellati che si sono inseriti nella coalizione che sosterrà Pierfrancesco Majorino contro il governatore uscente, Attilio Fontana, della Lega e quindi del centrodestra, e contro Letizia Moratti, che gode dell’appoggio del terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, per il sostituto di Nicola Zingaretti, nella regione centrale, la situazione è decisamente più ingarbugliata.
Da una parte, c’è il fatto che il Pd con Roberto Gualtieri, quindi nel comune di Roma, ha dato il suo consenso per la costruzione del termovalorizzatore che, di fatto, è stato il motivo per cui i pentastellati hanno levato il loro appoggio a Draghi – dello stesso avviso è, per giunta, anche Alessio D’Amato, l’assessore alla Sanità uscente in partita per la successione dell’ex segretario dem.
D’altra, a sostenere “mister Vaccino” non solo c’è il Partito democratico, ma anche Azione e Italia Viva, quindi i due senatori fuoriusciti dai dem proprio per delle divergenze sull’alleanza con lo schieramento di Conte (più Calenda che Renzi, in effetti). Nella visione dell’M5s, questa scelta non si può sposare con la loro visione delle cose, e lo ha ribadito anche oggi, in un’intervista al Fatto quotidiana, la vicepresidentessa ed ex senatrice, Paola Taverna.
Qualche giorno fa, dalle pagine del Manifesto, era arrivato un appello, firmato da molti intellettuali progressisti laziali, affinché tutte le forze dell’opposizione si unissero per contrastare il candidato voluto dalla premier, Giorgia Meloni, Francesco Rocca, e quindi non consegnare anche la Pisana alla maggioranza di governo.
Un appello che D’Amato ha colto riaprendo le porte ai pentastellati e proponendo un ticket con Donatella Bianchi, scelta invece dall’ex premier assieme a Sinistra Italiana e Coordinamento 2050, che però non si è concretizzato perché, a dire di Taverna, il senatore romano ha tirato per il guinzaglio il suo candidato, mentre dal Pd non è arrivata nessuna risposta. “Mi sembra evidente che si tratti di un’apertura fasulla – ha detto l’ex senatrice -, di un calcolo per non rimanere con il cerino in mano e per mascherare le loro responsabilità rispetto a un’alleanza con Calenda e Renzi che può solo aiutare le destre a vincere“.
Se è stato quasi impossibile arrivare a una sintesi in una regione in cui si governava bene e insieme, un’alleanza a livello nazionale tra il Partito democratico e il MoVimento 5 stelle, per quanto auspicabile, sembra altrettanto difficile. Eppure, Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia Romagna e candidato più accreditato (dai sondaggi) a raccogliere il testimone di Letta per la segreteria dei dem, ci ha provato anche ieri, da Lecce, a porre le basi per un futuro dialogo con Conte.
“Il Pd non può correre da solo – ha iniziato -. Penso che debba riscoprire la vocazione maggioritaria, ma è il contrario dell’autosufficienza. Solo un folle potrebbe pensare che il partito si possa candidare da solo in un Comune in una Regione o nel Paese. Anzi, l’ultima volta, essendoci candidati quasi da soli, si è visto che, nonostante siamo risultati il secondo partito, abbiamo perso di parecchio le elezioni“.
E quindi sì, i Cinque stelle potrebbero fare al caso di Bonaccini e del Pd, anche considerando il fatto che, al momento, nei sondaggi (altri), li superano e neanche di poco. “Non abbiamo preclusioni, ma le alleanze si fanno sui programmi. Se il Pd è in forma si vedrà che anche gli altri saranno costretti ad accordi con noi“, ha detto. La risposta, in ogni caso, è stata la stessa, ovvero con chi vuole gli inceneritori, noi, non ci parliamo.
Ora hanno il coltello dalla parte del manico, dicevamo, ma se poi la situazione si dovesse nuovamente ribaltare? In quel caso, un no sarebbe ancora la scelta migliore da prendere? Dopo tutto, anche nel 2013 i pentastellati, con Beppe Grillo in testa, avevano chiuso al Pd per un governo insieme e sei anni più tardi sono stati costretti a cambiare idea per esigenze personali e non, quindi mai dire mai.
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