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Categories: Politica

È giusto tagliare gli stipendi dei parlamentari per combattere la casta?


Con la proposta del Movimento 5 Stelle di dimezzare gli stipendi dei parlamentari tornano al centro del dibattito i costi della politica. Costi troppo elevati, in rapporto alla qualità dei risultati raggiunti e alla situazione economica italiana. La casta esiste e va ridimensionata: ma siamo sicuri che il vero problema siano gli stipendi alti e che basta dimezzarli per placare il generale sentimento di antipolitica?
L’indennità parlamentare (lo stipendio, appunto) ammonta a circa 10.435 euro lordi mensili. Il M5S ha proposto di dimezzarla fino a 5mila euro lordi. In pratica deputati e senatori invece di guadagnare 5mila euro netti, ne intascherebbero “solo” 2.500. Uno stipendio di tutto rispetto, vista la media in Italia, dove in troppi sono costretti ad arrancare con mille euro fino a fine mese. La proposta è stata per ora respinta e ha scatenato la reazione di alcuni politici. Come quella del senatore di Ala, il verdiniano Vincenzo D’Anna: “Mettere a 2.500 euro lo stipendio dei parlamentari significa che la prossima volta si troveranno in Parlamento cassaintegrati, lavoratori socialmente utili, impiegati delle poste e del catasto. Non ci sarà né un professionista, né un imprenditore, né una personalità che con 2500 euro al mese accetterebbe di fare il parlamentare. Io già ci rimetto guadagnando 5000 euro al mese, con 2500 euro non ci andrei nemmeno a Roma. Anche io ho una famiglia, dei figli e dei nipoti, non posso rimetterci nel fare il parlamentare. Che senso ha questa lotta a oltranza contro gli stipendi dei parlamentari?”. Per non parlare delle parole del deputato di Sel Arcangelo Sannicandro: “Chi siamo noi? Lavoratori subordinati dell’ultima categoria di metalmeccanici?”.

È giusto tagliare gli stipendi dei parlamentari?
In teoria chi si occupa del bene comune e ricopre un ruolo così importante è giusto che percepisca uno stipendio maggiore. In pratica il Parlamento è invaso da parassiti, politicanti di mestiere e pregiudicati, ma questo è un altro discorso. Un’idea sensata sarebbe quella di pagare i parlamentari con il criterio della meritocrazia: più lavori più vieni pagato. E per lavorare non si intende la presenza fisica ma quella attiva. Meglio un deputato assente che addormentato sugli scranni.

Come abbattere i costi della casta senza dimezzare gli stipendi? È proprio questo il punto: bisognerebbe abbattere rimborsi, privilegi, benefit e vitalizi. Sono questi che fanno lievitare il guadagno mensile, sono questi che suscitano rabbia. L’indennità è solo una parte del guadagno complessivo che a fine mese diventa il triplo.

Quanto guadagnano i parlamentari tra indennità e rimborsi?
Facciamo un po’ di conti. Queste le cifre medie che spettano a deputati e senatori (con piccole differenze che non cambiano la sostanza delle cose). Lo stipendio ammonta a circa 5mila euro netti al mese. A questa bella cifra vanno aggiunti 3.500 euro di diaria mensile per le spese di soggiorno a Roma, riconosciuta anche a chi risiede nella Capitale. Decurtati di 206 euro per ogni giorno di assenza in aula. Poi ci sono i rimborsi che arrivano a circa 3.600 euro. La metà viene concessa per spese che devono essere documentate (consulenze, retribuzione dei collaboratori, attività politica sul territorio). L’altra metà finisce nelle tasche dei politici senza bisogno di giustificazione alcuna.

Finita qui? No: ci sono pure i rimborsi per gli spostamenti per chi non vive a Roma, che vanno da mille a 1300 euro al mese in base alla distanza dall’aeroporto alla casa. Per non parlare del fatto che gli onorevoli usufruiscono di tessere per viaggiare gratis su treni, aerei, navi e autostrade. Insomma, a fine mese intascano fino a 13.500 euro netti. Dimezzare gli stipendi non risolve quindi il problema. E non dimentichiamo i vitalizi, le ricche pensioni il cui diritto scatta dopo appena cinque anni di mandato. Pensioni riversibili a mogli, mariti, figli e fratelli. E la settimana corta. Anzi cortissima: in Parlamento si lavora dal martedì al giovedì. una faticaccia.

Quando gli onorevoli guadagnavano quasi quanto gli operai
Pensare che nel dopoguerra i parlamentari guadagnavano poco di più di impiegati e operai, e questo era anche un modo per spingere la gente comune a contribuire alla causa pubblica. Secondo una ricerca effettuata dall’Espresso (che ha convertito e rivalutato le cifre da lire in euro), nel 1947 i costituenti guadagnavano quanto un precario di oggi: circa 800 euro. Grazie ai gettoni di presenza potevano arrivare in realtà fino a 1300 euro al mese. Insomma, più o meno quanto un operaio o un impiegato. La forbice ha cominciato ad alzarsi negli anni 70. Nel 1977 un operaio, grazie alle lotte sindacali, poteva guadagnare un quarto di un parlamentare. Negli anni successivi la situazione è degenerata: il Palazzo ha aumentato gli stipendi ma soprattutto ha iniziato a ricoprire i parlamentari d’oro, tra privilegi e rimborsi. Trasformando il Parlamento in casta e ingigantendo ulteriormente la forbice: oggi un parlamentare guadagna in totale 13.500 euro al mese, un operaio 1200 e un impiegato 1600. Per non parlare di chi a 1000 euro nemmeno ci arriva.

Abbattere i privilegi più che gli stipendi
Che un parlamentare debba guadagnare di più è giusto, quindi pretendere che gli stipendi siano dimezzati è un atteggiamento un po’ populista. Ma chiedere di abbattere tutti i privilegi è sacrosanto. Perché un impiegato che trova lavoro in un’altra città i trasporti e la casa se li deve pagare con i soldi dello stipendio? E perché deve vedere la pensione solo come un miraggio?

Francesco Minardi

Francesco Minardi è stata collaboratore di Nanopress dal 2016 al 2018, occupandosi principalmente di cronaca e politica interna ed estera,

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